INTERNAZIONALE

Crolla il silos simbolo. Beirut ne approfitta per cancellare la strage

A DUE ANNI DALL’ESPLOSIONE AL PORTO, LA POLITICA LIBANESE RIPROPONE L’ABBATTIMENTO
PASQUALE PORCIELLOlibano/beirut

La parte nord dei silos al porto di Beirut colpiti dall’esplosione del 4 agosto 2020 è crollata, dopo settimane nelle quali le 20mila tonnellate stimate di grano intrappolate sotto le macerie stavano bruciando perché in fermentazione.
«IL MANCATO intervento da parte delle autorità, in particolare dei ministeri dell’ambiente e degli interni che non hanno dato l’ok a vigili del fuoco e esercito per intervenire - racconta Charbel Maskineh, architetto, urbanista e professore all’Università Libanese - ha fatto sì che l’incendio, nelle prime settimane di luglio contenuto e poi più intenso, abbia gradualmente accelerato l’aumento dell’inclinazione dei silos» fino ad arrivare a un centimetro all’ora prima del crollo, verso le cinque e un quarto di domenica pomeriggio. Già in settimana la Croce rossa aveva distribuito mascherine per il forte odore emanato dal sito e per il fumo e sabato era stata ordinata l’evacuazione delle aree intorno al porto per un raggio di un paio di chilometri e del porto stesso. Un tempismo tragicamente perfetto, a pochissimi giorni dal secondo anniversario della catastrofe che in pochi istanti fece oltre 200 vittime, 7mila feriti e 300mila sfollati e sventrò la città, soprattutto la parte est. Parte dell’onda dalla deflagrazione causata dalle 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio stoccate al capannone 12 fu assorbita proprio dai silos di grano diventati ormai simbolo di quella sciagura e che avevano parzialmente protetto Beirut ovest.
IL PARLAMENTO aveva votato il 16 marzo scorso una risoluzione affinché i silos fossero abbattuti, ma il provvedimento era stato sospeso dopo la proposta del ministro della cultura Mortada di mettere i silos sulla lista del patrimonio nazionale. Il 14 aprile un’altra risoluzione metteva da parte la proposta. Poche forze in parlamento continuano a opporsi all’abbattimento, tra cui il Kataeb (partito cristiano di estrema destra) e i parlamentari in orbita thaura (la rivolta scoppiata nel 2019). Fuori fanno sentire la loro voce i comitati dei familiari delle vittime, che temono che l’abbattimento cancelli per sempre eventuali prove dell’esplosione, alcune ong e «Il testimone silenzioso», gruppo di architetti, urbanisti, ingegneri, intellettuali e società civile che prende il nome dalla petizione lanciata il mese scorso e che vuole preservare sia il valore architettonico che quello simbolico dei silos.
Resta da capire cosa succederà con quelli rimasti in piedi. La fondatrice di Baladi, ong che si occupa di eredità culturale e patrimonio architettonico, Joanne Farchakh Bajjaly ammonisce: «La demolizione è una soluzione puramente politica per dire che l’esplosione non ha mai avuto luogo. Senza prove materiali si possono falsificare i dati e la narrazione e poco a poco la memoria. I silos hanno delle fondamenta di svariati metri che non potranno essere rimosse. È uno spazio che non potrà comunque essere usato per la ricostruzione del porto». Per Rana Debaissi, professoressa di architettura all’Università Libanese, si tratterebbe della «ennesima speculazione: mettere una gru costerebbe mille dollari l’ora per sei mesi».
Il processo sui fatti al porto, partito già con pesanti zavorre - il giudice Sawwan fu sostituito dopo appena sei mesi dall’attuale Bitar, che aveva rifiutato precedentemente l’incarico - sembra arenato. L’ottobre scorso, proprio in occasione di una protesta di Amal/Hezbollah contro Bitar ritenuto politicizzato, ci furono pesanti scontri a fuoco tra i partiti sciiti e le Forze libanesi (estrema destra cristiana).
UNA COSA È CERTA: molta dell’attuale classe politica sapeva del pericolo rappresentato dal nitrato di ammonio. Si annunciano manifestazioni per il 4 agosto da parte di chi non può e non vuole dimenticare.

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