VISIONI

Humanhood, la danza per unire singolo e cosmo

Intervista con la compagnia anglo-catalana, sarà a Venezia il 28 e 29 luglio per la Biennale di Wayne McGregor
FRANCESCA PEDRONIITALIA/venezia

Un pensiero sul movimento in cui la pratica meditativa è il mezzo per lasciarsi condurre alla scoperta dell’ignoto in un flusso di esperienza libero da tecniche e approcci precostituiti. Per un linguaggio intuitivo mosso dall’ascolto e dalla connessione sostenibile con la natura. È il viaggio visionario e pieno di positività al centro di Humanhood, giovane compagnia tutta da scoprire con sede tra Birmingham e Barcellona, al suo debutto in Italia al 16° Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia il 28 e 29 luglio su invito del direttore del settore Danza della Biennale, Wayne McGregor.
A FONDARE Humanhood nel 2016 Julia Robert e Rudi Cole, che dopo aver ballato per Akram Khan, Jasmin Vardimon e altri, hanno scelto di proseguire su una strada indipendente che ruota curiosamente su un triangolo di interessi: la Fisica Moderna (complici gli studi universitari di Robert e la collaborazione successiva di Humanhood con il dipartimento di Fisica e Astrofisica dell’Università di Birmingham), l’Antico Misticismo, legato alla meditazione e all’Oriente, e il corpo in movimento.
L’incontro nell’uomo tra lo studio scientifico del mondo osservabile e la ricerca «mistica» di risposte dentro di sé. A Venezia presentano Infinite, coproduzione 2022 del Mercat de les Flors di Barcellona, di cui Robert e Cole sono artisti associati. Un percorso mistico nell’energia infinita della forza vitale.
«È LA PRIMA produzione per cui usiamo la terminologia Dance Theatre Meditation» ci racconta Julia Robert. «Concepiamo le nostre produzioni come un processo in cui la coreografia è vissuta come un flusso di coscienza e di esperienza. Nella prima parte del lavoro la mia voce guiderà il pubblico in un viaggio attraverso la meditazione, le mie parole vogliono aprire le porte verso l’infinito, stimolare l’immaginazione, ispirando drammaturgicamente la coreografia. Quando gli spettatori riapriranno gli occhi avranno di fronte una sorta di organismo in movimento in cui non sarà chiaro cosa succede: lo stato mentale meditativo porta a percepire la compresenza di un mondo invisibile, interiore, e di un mondo visibile, esteriore».
AGGIUNGE Rudi Cole: «Il lockdown e la pandemia ci hanno permesso di riflettere su cosa volevamo sperimentasse il nostro pubblico. Abbiamo riflettuto su cosa significasse per noi acquisire una consapevolezza spirituale e fisica del movimento, legata a uno stato mentale, e ci siamo chiesti come potessimo far sì che il pubblico vi partecipasse, sentendola nel corpo. Abbiamo perciò pensato che una pratica meditativa potesse essere un fondamento di questa nostra nuova produzione, facendo vivere agli spettatori la performance come un viaggio partito dalla loro interiorità».
L’attenzione alle pratiche di mindfullness era già insita nella scelta del nome della compagnia. Spiega Robert: «La parola humanhood metteva in chiaro che in qualsiasi nostro progetto l’umanità sarebbe stata centrale. Per noi il movimento non si lega mai soltanto all’arte della scena, è uno strumento che abbiamo come essere umani per attingere alle nostre più piene potenzialità». Nelle parole di Cole: «Veniamo entrambi dalla danza professionista, per trovare il nostro linguaggio abbiamo fatto un lavoro di sottrazione dai nostri background. Con pratiche orientali come il Tai-chi o il Qi Gong condividiamo elementi di connessione con l’energia della terra. Entrare in relazione con il cosmo per noi significa essere nel flusso della natura». Un lavoro sull’unicità del singolo in relazione a qualcosa di più grande.

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