INTERNAZIONALE

«Criminali», «via di qui»: il G20 procede a seggiolate

C’È LA CRISI MONDIALE, MA A BALI TRA MINISTRI DELLE FINANZE E BANCHIERI CENTRALI È UNA GUERRA
LUIGI PANDOLFIINDONESIA/bali

Al G20 di Bali in Indonesia è il momento dei ministri delle finanze e dei banchieri centrali. Due giorni, dal 15 al 16 luglio, per affrontare uno dei temi più spinosi dell’attuale congiuntura internazionale: inflazione combinata ad un quadro di bassa crescita che potrebbe sfociare in una nuova crisi economica mondiale.
IL CLIMA è rovente, come era stato per l’incontro dei ministri degli esteri di una settimana fa. Incombono le lacerazioni diplomatiche prodotte dal conflitto russo-ucraino, americani e canadesi scatenatissimi contro la delegazione russa, collegata da remoto. «Qui non c’è posto per voi», aveva tuonato già alla vigilia del summit il segretario al Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen. «Guerra criminale, minaccia per l’economia globale», le ha fatto eco la ministra delle finanze di Ottawa Chrystia Freeland. Schermaglie inevitabili,nel contesto geopolitico. Ma le questioni sul tappeto sono serie e non ammettono semplificazioni. Su tutte la questione energetica, causa prima delle vicissitudini economiche odierne.
L’approccio americano a questi temi, nondimeno, non sembra ancora contemplare un cambiamento di postura rispetto alla guerra di Putin. Più che i problemi economici globali è Mosca che rimane nel mirino. Quando la Yellen ripropone a Bali un «tetto massimo al prezzo del petrolio russo» ha in mente innanzitutto di colpire i flussi finanziari in entrata dell’economia russa. Dice: «verrebbero negate a Putin le risorse di cui la sua macchina da guerra ha bisogno e si renderebbe più difficile far crescere la sua economia». Poi, magari, ci si potrebbe aspettare anche «una pressione al ribasso sui prezzi per i consumatori in America e nel mondo». Molto chiaro. Ma un price-cap applicato alla speculazione, no? Eppure, dietro l’aumento del prezzo dei beni energetici c’è proprio quest’ultima, a vederci bene.
LE TENSIONI inflazionistiche che si sono abbattute sull’economia mondiale non hanno origine valutaria né sono riconducibili ad un surriscaldamento dell’economia per eccesso di domanda (questa componente è presente solo negli Usa). C’entra la guerra, ovviamente. Ma non è solo un problema di domanda e offerta reale di materie prime. La guerra, piuttosto, fa da sfondo alle dinamiche speculative sui mercati finanziari. Scommesse sul prezzo dell’energia (e delle commodities agricole) che producono i loro effetti sui contratti reali. Quindi sulle condizioni materiali di vita di miliardi di persone. Emblematico il caso del gas in Europa, il cui prezzo viene determinato giornalmente sul TTF di Amsterdam.
GUERRA, SPECULAZIONE, inflazione. E’ questo il tridente che minaccia la stabilità economica del pianeta. Parlare di «recessione globale», infatti, non è più un tabù, anche in considerazione degli affanni dell’economia cinese (nel trimestre aprile-giugno il pil è cresciuto solo dello 0,4% sul 2021, peggior risultato dal 1992), su cui pesa la strategia dello zero-Covid. «Nel 2023 troveranno conferma le attuali difficoltà, aggravate da ipotesi di recessione», è il monito che al G20 è arrivato dall’FMI.
TEMPI DURI, interessi divergenti. A Bali, formalmente, si è riproposta la divaricazione tra paesi del G7 e paesi emergenti. Ma sulle sanzioni e soprattutto sul tetto al prezzo del petrolio russo sfumature, se non proprio divergenze, ci sono state anche tra i paesi del gruppo di testa. Non solo la Cina, ma anche il Giappone ed altre cancellerie hanno espresso dubbi sulla proposta americana (la Germania auspica «discussioni più aperte e dirette» con Mosca). Il timore, come per il gas in Europa, è che Putin possa soffocare le principali economie del mondo chiudendo il rubinetto dei prodotti primari di cui è tra i primi esportatori al mondo. Timore non mitigato dalla promessa di Washington di incrementare, a compensazione, la disponibilità del suo petrolio di scisto (perché l’India dovrebbe rinunciare al petrolio a prezzo scontato della Russia?). Anche la corsa del dollaro preoccupa. Incide sulla bilancia dei pagamenti per il costo delle importazioni di materie prime, minaccia la solvibilità dei paesi poveri il cui debito estero è denominato nel biglietto verde. Ma viste le premesse, difficilmente ci si può aspettare «impegni e soluzioni comuni».

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