INTERNAZIONALE

Prigioniero britannico morto in cella, Londra furiosa: «Mosca responsabile»

MENTRE PUTIN "RIVENDICA" IL RAID SU VINNYTSIA
MARCO BOCCITTO russia/gb

Nella città di Vinnytsia, finita dentro una guerra che sembrava distante, si scava in cerca dei dispersi: una ventina, come le vittime accertate - tra loro una bimba di 4 anni - del raid missilistico russo di giovedì. Catalogato da Kiev come «terrorismo contro i civili» e rivendicato ieri dai russi come attacco a «un meeting in corso tra i vertici militari ucraini e fornitori di armi stranieri». Altre inconciliabili visioni dei fatti spiegheranno forse l’ennesima notte di allarmi e bombe che non hanno risparmiato scuole e abitazioni in vari distretti della regione di Dnipropetrovsk, come nella città di Kharkiv e dintorni. O gli esiti della lenta avanzata russa su Siversk e in prospettiva Bakhmut, nel Donbass.
Tesi ben distinte come quelle che si scontrano sulla morte del cittadino britannico Paul Urey, che da ieri è fonte di nuove scintille tra Londra e Mosca. Operatore umanitario per la famiglia, le autorità inglesi e ucraine, la Legione internazionale che nega fosse tra i suoi combattenti; mercenario che reclutava, addestrava e dirigeva operazioni militari per le forze armate della regione separatista di Donetsk. Che lo avevano "in custodia" e ne hanno annunciato ieri il decesso, avvenuto il 10 luglio.
Paul Urey soffriva di diabete e altre patologie importanti, ha ricordato Daria Morozova, responsabile diritti nell’entità di cui la Russia ha riconosciuto l’indipendenza alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina. «Malgrado i suoi crimini - ha aggiunto - godeva dell’assistenza medica necessaria». Non è bastata. L’annuncio della sua cattura insieme al connazionale Dylan Healy era stato diffuso dalla ong britannica Presidium Network il 29 aprile scorso. Londra ha subito convocato l’ambasciatore russo e la ministra degli Esteri Liz Truss non ha usato mezze parole nel «ritenere Mosca totalmente responsabile».
La guerra di sanzioni e controsanzioni intanto vede la Commissione europea orientata al blocco delle importazioni di oro dalla Russia, che incalza ormai la Cina come primo produttore mondiale. Mosca invece blocca le cessioni delle sussidiarie delle banche occidentali - come Unicredit - che speravano di togliersi velocemente dagli impacci. E il ministro del Commercio e dell’industria, Denis Manturov, alla Duma dice che non vi è interesse a nazionalizzare le aziende straniere, ma bene hanno fatto i deputati a prevedere la legge che consente allo stato di subentrare in caso di improvvisi abbandoni.
Unico barlume di speranza, in questo scenario, la firma a breve dell’intesa tra Ucraina, Russia, Turchia e Nazioni unite per l’export sicuro del grano di Kiev fermo nei porti sul Mar Nero. A sentire il governo russo è quasi fatta, ma quanto ci si avvia a firmare a Istanbul non è da intendersi come inizio di un negoziato di pace.
La pace o qualcosa di simile sembra avere la sua chance solo sulla Stazione spaziale internazionale, dove per concessione Usa riprende il lavoro congiunto degli astronatuti Nasa con i colleghi russi. Il conflitto semmai è tutto interno al Cremlino. con il cambio al vertice dell’agenzia spaziale nazionale deciso da Putin. A rimetterci le penne è il "falco" Dmitry Rogozin, quello che in caso di guerra nucleare i paesi Nato sarebbero stati distrutti «in mezzora».
M. BO.

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