VISIONI

Negata a Napoli la sua Agorà, al capolinea lo storico cinema

Il profitto contro la cultura, i locali rionali scomparsi, la gentrificazione
FRANCESCA SATURNINOitalia/napoli

C’era una volta il Mignon, sala cinematografica sotto la sede napoletana dell’Anmig, Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra. Siamo in via Guantai Nuovi, a due passi dall’affollatissima via Toledo, nel cuore di un grande complesso di architettura razionalista di inizio Novecento. Tra questi edifici spiccano il magnifico Palazzo delle Poste, il Palazzo della Provincia, la Questura: in quanto a bellezza, anche il Mignon non è da meno. Negli anni ’70, la sala diventa Agorà. Nella sua programmazione si alternano pellicole di seconda e terza visione – quando al cinema era possibile recuperare film usciti da un po', e tutto era meno veloce e da consumare subito - a sala porno, con tanto di giro di prostituzione attivo fino a poco prima del fallimento post pandemia. È qui che questa storia, simile a quella di tante altre sale cinematografiche d’Italia, si fa interessante.
GIÀ MOLTO PRIMA del Covid-19, quando era assessore alla Cultura della giunta De Magistris, Antonella Di Nocera, fondatrice della casa di produzione Parallelo 41 e della rassegna Venezia a Napoli, animatrice «pasionaria» dell’ambiente culturale partenopeo con un’attenzione particolare alla periferia orientale, aveva sperato di poter rilevare la sala per rifunzionalizzarla e restituirla alla città. Da qui un lungo e complicato rapporto con i responsabili Anmig che, dopo il fallimento della gestione della sala porno, circa un anno fa, subito si sono ricordati di lei. «Sono 30 anni che combatto per avere una sala dove far confluire le attività che con fatica abbiamo avviato in questi anni sul territorio. Da quando ho iniziato a organizzare rassegne al cinema Pierrot di Ponticelli, la mia idea è legata a un cinema per le persone. L’Agorà mi sembrava perfetto: qui avremmo potuto realizzare una ‘casa del cinema’. Fare festival, cinema per le scuole, rassegne diurne e pomeridiane per i bambini dei vicini Quartieri Spagnoli, incontri e rassegne d’autore, film in lingua e soprattutto rassegne legate alla storia del cinema. Si tratta di una sala con un valore storico e una capienza di circa trecento posti in una zona molto centrale: poteva diventare uno spazio culturale come quelli che vedo in tante città europee». Uno spazio che a Napoli manca. Dopo la notizia del fallimento, Di Nocera presentò una manifestazione di interesse e un progetto di riqualificazione della sala con tanto di finanziatore privato disposto a realizzare l’impresa. «Anche se attraverso un ente privato, volevo dare a questa sala una veste pubblica. Verso la fine dello scorso anno sembrava ce l’avessimo fatta, mancava solo la sigla formale. Sono andata anche a svolgere sopralluoghi con l’architetto, c’era ancora il pavimento originale in graniglia».
DA QUEL MOMENTO le comunicazioni si sono interrotte, fino alla doccia fredda di qualche settimana fa: l’ex cinema Mignon è stato rilevato da un’impresa milanese assieme alla parte superiore dell’edificio che ospitava un ostello, anch’esso fallito durante la pandemia. Il tutto, sotto l’egida di un unico proprietario, diventerà una grande struttura di ricezione: cinema degli anni ’20 compreso. Un altro duro colpo per Napoli la cui memoria di luoghi storici di cinema e teatro si sta letteralmente sgretolando per lasciare posto a bar, catene di fast food e ricezione turistica che investono a colpo sicuro nella città più visitata d’Italia. «A partire dagli anni ’20 del Novecento, anche prima se consideriamo capannoni e ambienti improvvisati, Napoli è stata una città piena di locali cinematografici. Ci sono anche poesie e canzoni – penso a Viviani - che raccontano questo proliferare e moltiplicarsi all’infinito», racconta Mario Franco, regista e storico del cinema che si è occupato di una ricognizione delle sale cinematografiche dal dopoguerra al terremoto. «Il Mignon era relativamente piccolo – all’epoca una sala di 250 posti era cosa di poco conto - con sedie scomode e il proiettore a carbone. Era un locale per terze visioni, quando il cinema era diviso in prima, seconda e terza. Di locali rionali come il Mignon ce n’erano molti, ne contai circa un migliaio. Dopo gli anni ’70 con le tv private, molti chiusero. Alcuni divennero punti di ritrovo o cinema d’essai grazie all’Ital-noleggio. Altri divennero cinema a luci rosse che poi la diffusione dell’home video ha reso inutili, tranne il Mignon, poi divenuto Agorà, e il Nuovo (oggi Teatro Nuovo), che si trasformarono in luoghi di appuntamento. Paradossalmente il fatto di trovarsi di fronte all’ingresso secondario della questura fu la fortuna dell’Agorà: gli avventori della sala erano facilmente ricattabili, quel luogo era una fonte di soffiate sul mondo della malavita a portata di mano».
DAVANTI alla possibilità sfumata di restituire il cinema alla città, il professor Franco non si sorprende: «Hanno chiuso locali che sembravano cattedrali, come l’Odeon che faceva concorrenza alla chiesa di Piedigrotta. Era un tempio del cinema: ora è un Bingo». Una sala che chiude – ancora di più se nel centro storico, dove botteghe e piccoli negozi stanno scomparendo alla velocità della luce – è una zona che cambia, si trasforma, s’impoverisce culturalmente. Napoli, set cinematografico a cielo aperto, la cultura la esporta fuori - ma non la protegge in loco. «Da troppo tempo non vengono prese decisioni necessarie», chiosa Di Nocera che, dopo la notizia della trattativa sfumata, ha scritto anche una lettera al sindaco. «La promozione turistica serve, ma la consapevolezza culturale dei cittadini è una priorità. La storia del cinema Mignon è piccola, ma emblematica: chi l’ha detto che il turismo è l’unica cosa di cui vivere? Uno spazio come lo immaginavamo noi crea lavoro e soprattutto agisce nella vita delle persone e nel loro quotidiano, costruendo sogni, emozioni». Mentre scriviamo, del piccolo grande cinema Mignon è rimasta solo la facciata.

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