VISIONI

Due esordienti in finale, Jabeur gioca con un’anima

WIMBLEDON FEMMINILE
MAZZINO MONTINARIgb/wimbledon

«Guarda, zia Ons ha battuto mamma e ora si abbracciano», avrà esclamato Charlotte, quando ha visto concludersi la semifinale che vedeva impegnate la tunisina Ons Jabeur opposta alla grande amica Tatjana Maria, la tedesca, madre di due figlie (Charlotte, appunto, e Cecilia) che a quasi trentacinque anni è giunta a disputare la partita più importante della sua vita sportiva, quella che l'avrebbe potuta condurre alla finale di Wimbledon. Alla fine, ha vinto Jabeur in tre set perché è stata semplicemente la più forte.
Tatjana Maria, numero 103 del mondo, è tornata a calpestare i campi da tennis da poco. Una giocatrice a fine carriera che in apparenza non sembrava possedere i colpi per sconfiggere tenniste più potenti e capaci di far viaggiare la palla a velocità proibitive. E invece, come in una favola, la fata nel prato ha incantato le avversarie vanamente convinte di poterla divorare in un attimo. Una dopo l'altra sono rimaste ipnotizzate da traiettorie insidiose e tocchi leggeri, andando tutte fuori giri.
DALL'ALTRA PARTE, l'amica del cuore, Ons Jabeur, la prima africana in una finale Slam, l'artista che gioca un tennis dimenticato nell'era della pressione continua e dei colpi violenti, e di atlete che tirano così forte da dimenticare che al di là della rete c'è vita, che qualcuno ha una racchetta e addirittura sa farne uso. E Jabeur, che non è la protagonista di un film di fantascienza sulla criogenia, ha rinunciato ai soliti traccianti, puntando a linee insolite e più efficaci.
È probabile che Jabeur non infrangerà record come Iga Swiatek, l'attuale numero uno, che in Inghilterra ha appena interrotto un'incredibile striscia vincente di trentasette partite consecutive. E non si aggiudicherà caterve di titoli Slam. Tuttavia, il suo lento e continuo progresso l'ha fatta salire al secondo posto della classifica mondiale. E in più stupisce e diverte come poche altre.
Meno amiche erano la rediviva rumena Simona Halep e la kazaka (dal 2018) Elena Rybakina. Le protagoniste inaspettate, ma meritevoli, dell'altra semifinale. A vincere in modo netto è stata la seconda, la più giovane delle semifinaliste, quella in possesso di un tennis e di qualità fisiche che sembrano fatte apposta per alzare il trofeo di Wimbledon. Halep non sarà contenta del risultato e del modo nel quale è maturato. Ma pensando a questi ultimi due anni, sembrava un'atleta non più in grado di ripetere i successi ottenuti proprio qui a Wimbledon e a Parigi. E invece l'ex numero uno è tornata.
DI RYBAKINA per ora si può solo osservare la crescita costante. E chissà cosa penseranno in questo momento gli organizzatori inglesi, che dopo aver negato l'accesso al torneo ai tennisti russi e bielorussi, rischiano di consegnare il premio più ambito a una ventitreenne nata proprio a Mosca.
La finale di sabato potrebbe essere una partita appassionante con due giocatrici diverse in tutto, oppure deludente come capita quando a contendersi un titolo così prestigioso sono due esordienti. In ogni caso, sarà una storia da ricordare.

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