INTERNAZIONALE

Dopo 25 anni e tante speranze. Hong Kong è sempre più cinese

Il 1° luglio 1997 l’ex colonia britannica tornava alla Cina. Ma l’autonomia è lontana
SERENA CONSOLEHONG KONG/CINA

«Hong Kong crede nel futuro», titolava il 1° luglio 1997 l’Apple Daily, il cui nome è un amaro ricordo per i difensori della libertà di stampa, dopo la chiusura della testata imposta dal governo nel 2021. Esattamente 25 anni fa, l’Apple Daily - come tanti quotidiani di Hong Kong - si concentravano sulla restituzione dell’ex colonia britannica dal Regno unito alla Repubblica Popolare cinese. I cittadini di Hong Kong, stretti tra speranza e timori di passare alla Cina - nonostante le promesse dell’allora leader Deng Xiaoping con la formulazione del modello politico «un paese, due sistemi» - sapevano di vivere un momento storico. Ma mai avrebbero immaginato un drastico cambiamento.
A DISTANZA DI 25 ANNI dal passaggio di sovranità, Hong Kong ora appare sempre più una città cinese. Le promesse di un alto grado di autonomia per un periodo di 50 anni - siglate prima nella Dichiarazione sino-britannica e poi incluse nella costituzione locale, la Hong Kong Basic Law - sono state disattese. Non la pensa allo stesso modo il presidente cinese Xi Jinping, che ieri è tornato nell’ex colonia britannica per celebrare il 25esimo anniversario dell’handover di Hong Kong alla sovranità cinese e presiedere all’insediamento del nuovo esecutivo guidato da John Lee. Xi è arrivato il 30 giugno a Hong Kong ma ha lasciato la città prima del calare del sole per poi farvi ritorno il 1° luglio, dopo una notte trascorsa a Shenzhen. Il leader cinese ha osservato con massima attenzione le misure sanitarie, muovendosi in una città blindata e in una bolla anti-Covid. Xi non ha nemmeno stretto la mano al nuovo capo dell’esecutivo di Hong Kong, il quale si è limitato a un inchino dopo aver prestato giuramento durante una cerimonia vietata ai giornalisti di sette grandi testate internazionali.
L’insediamento di John Lee, ex zar della sicurezza che prende il testimone da Carrie Lam, è stata l’occasione per il presidente cinese di esporre indicazioni per la città e i suoi amministratori. La «vera democrazia» è iniziata a Hong Kong 25 anni fa, ha rivendicato Xi elogiando l’efficienza del modello «un paese, due sistemi», che «va mantenuto a lungo».
Parole che suonano come un monito rivolto agli hongkonghesi e al nuovo leader della città, noto per aver guidato la repressione delle proteste pro-democrazia nel 2019 quando era responsabile della sicurezza. Xi, di fronte alle denunce di promesse tradite su libertà democratiche, ha invitato i cittadini dell’ex colonia britannica a rispettare la leadership del Partito comunista.
FIERO DI AVER SANATO la ferita della stabilità politica con l’imposizione della rigida legge sulla sicurezza e l’ingresso di «patrioti» nel governo locale, Xi ha tracciato i punti dell’agenda di Hong Kong: in cima alla lista c’è l’armonia politica e il rapporto tra governo e forze di mercato, per rilanciare il ruolo di hub finanziario.
GLI HONGKONGHESI hanno bisogno di una «vita migliore, un appartamento più grande, una migliore istruzione e assistenza agli anziani», ha detto Xi. Ha quindi indirizzato il governo a risolvere l’ormai annosa crisi abitativa della città, con i prezzi delle case più alti al mondo (aumentati del 134% dal 1997). Pechino ha ricondotto al problema abitativo la radice dei disordini a Hong Kong.
Per decenni il governo locale ha cercato una soluzione attraverso il sistema delle aste di terreni, che ha garantito parte delle entrate governative grazie alle azioni di pochi ma ricchi magnati dell’immobiliare.
LA PRATICA HA PERÒ ridotto la concorrenza, consentendo allo stesso piccolo gruppo di dominare altri settori dell’economia locale, come il commercio al dettaglio e le infrastrutture. Xi ha chiesto ai funzionari di Hong Kong di «cambiare la loro filosofia di governance», lasciando presagire un cambiamento con la nuova amministrazione di Lee.
Il 25esimo anniversario è stato segnato dalle critiche di Stati uniti, Ue, Gran Bretagna e Taiwan. Washington e Londra hanno condannato Pechino per non aver rispettato le promesse fatte prima del 1997. Anche il premier taiwanese Su Tseng-chang ha utilizzato parole particolarmente dure sull’erosione della democrazia a Hong Kong. La Cina ha spedito ai mittenti le accuse, affermando che «non esiste alcun cosiddetto impegno» di Pechino sull’ex colonia.
È l’ultimo schiaffo ai lettori dell’edizione dell’Apple Daily di 25 anni fa, che hanno creduto in un futuro migliore.

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