VISIONI

Chiuso il Gogol’center, l’avanguardia non è più di casa a Mosca

Kirill Serebrennikov: «La decisione è stata presa da attori e autori contro la guerra e la svolta radicale di Putin»
LUIGI DE BIASErussia/mosca

È stato il regista russo Kirill Serebrennikov a confermare con un lungo messaggio sui social network voci che per la verità da qualche settimana erano insistenti a Mosca. «Sì, il Gogol’ center ha chiuso. Questo è tutto», ha scritto mercoledì notte sul suo profilo Instagram. La decisione, sempre secondo Serebrennikov, l’hanno presa gli autori e gli attori di quello che oggi è considerato fra i più importanti teatri sperimentali al mondo. Le ragioni sono dovute alla svolta radicale che il governo ha imposto al paese a partire dalla guerra in Ucraina: «Hanno chiuso per esprimere una posizione. Per onestà. Per un tentativo di libertà. Per il fatto che negli ultimi mesi in teatro gli attori hanno protestato contro la guerra, senza inchini alla fine degli spettacoli, e mostrando, invece, l’immagine di una colomba».
LA CHIUSURA del Gogol’ centre è l’ennesimo segnale della fine di un’epoca il cui inizio può essere fissato a ridosso delle grandi proteste contro il governo del 2011 e del 2012, un’epoca in cui lo scontro fra società e autorità ha permesso a una nuova classe intellettuale peraltro estremamente eterogenea di emergere, fra manifestazioni di dissenso politico, eclatanti provocazioni contro i valori tradizionali della nazione, e reti semiclandestine per il sostegno dei diritti civili. In questo quadro il Gogol’ center ha rappresentato a lungo un formidabile esempio di autonomia, contribuendo allo sviluppo di decine di teatri d’avanguardia da San Pietroburgo alla città mineraria di Mirny, nella lontana Repubblica Sakha, all’estremo oriente del paese.
La sua sede, nei pressi di un vecchio complesso industriale alle spalle della stazione ferroviaria Kurskaya, è stata a lungo il punto di incontro di una vasta comunità in cui si sono formate alcune delle menti più aperte della Russia contemporanea. Non solo Serebrennikov, le cui vicende legali culminate con l’arresto nel 2017 proprio quando era alla guida del Gogol’ centrehanno anticipato per molti versi il destino del teatro, ma anche, per esempio, il regista di origini calmucche Evgenij Sangadzhiev, che nel 2020, ad appena 27 anni, ha diretto una potente serie intitolata Happy End, prodotta dalla piattaforma more.tv, dove ha indagato con tono poetico e senza ipocrisie sul rapporto fra i giovani russi, il sesso e la pornografia «casalinga». Un giorno probabilmente si guarderà a questa generazione come all’intelligentija dell’era putiniana.
IN UN DISCORSO oramai tristemente famoso che la tv di stato ha trasmesso pochi giorni dopo l’inizio della guerra, il capo del Cremlino, Vladimir Putin, aveva chiesto al paese di usare questa occasione per distinguere i patrioti dai traditori e per «sputare fuori questi ultimi come si fa con i moscerini che finiscono accidentalmente in bocca». Sono passati soltanto tre mesi, ma il tempo è bastato a reprimere ogni singola voce indipendente rimasta nel paese, dalla radio Eco di Mosca al giornale Novaya Gazeta del Premio Nobel Dimitrij Muratov. Il Gogol’ Centre è l’ultima vittima dell’unica campagna che Putin stia davvero vincendo, quella contro il libero pensiero in Russia.
Il dipartimento culturale della città di Mosca ha smentito la chiusura e ha fatto sapere di avere già scelto come nuovo direttore Alexander Borchanikov, che arriva dalla Filarmonica di Novosibirsk.«Il teatro continuerà a chiamarsi Gogol’, com’è sempre stato», hanno detto dall’Amministrazione della capitale. Per Serebrennikov, «non si tratta semplicemente di sabotaggio, ma dell’ennesimo omicidio collettivo».

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