POLITICA

Legge elettorale, il Pd aspetta Salvini. Letta: discutiamo qualunque ipotesi

ULTIMO TENTATIVO
ANDREA FABOZZIITALIA

«Se ne potrà parlare dopo i ballottaggi» aveva sempre risposto Enrico Letta a chi nei mesi scorsi lo sollecitava a prendere un’iniziativa per la riforma della legge elettorale. Quella oggi in vigore per il segretario del Pd - che pure non è arruolabile tra i convinti sostenitori del proporzionale - è «la legge peggiore di tutte». Puntuale, allora, nella sua relazione davanti alla direzione del partito, ieri il segretario ha posizionato il Pd nel punto di massima disponibilità: «Noi siamo pronti a discutere di qualunque ipotesi di cambiamento in modo libero e aperto».
Per dirla con il responsabile riforme del partito, il deputato Andrea Giorgis, «il Pd è consapevole che il buon funzionamento della democrazia dipende dalla rappresentatività: se non è garantita le istituzioni non possono funzionare». È un bel passo in avanti rispetto ai tempi in cui anche per il Pd la priorità era la «governabilità» (la legge che si vuole adesso cambiare, per inciso, l’ha voluta innanzitutto il Pd in epoca renziana), né si può ancora dire che sia un passo che tutti sono disposti a compiere. La retorica della «vocazione maggioritaria» è dura da accantonare, i padri nobili dell’Ulivo continuano a incarnarla con qualche fascino interno, ma è scivolata in minoranza.
Anche perché, si ragiona nel partito democratico, il proporzionale nel quadro politico attuale è la soluzione che conviene a tutti. Le coalizioni sono sfaldate, i partiti hanno bisogno di recuperare riconoscibilità, le alleanze restano indispensabili ma potranno essere cercate in parlamento dopo il voto. Come, del resto, si è fatto in questa e nella precedente legislatura, che pure sono state elette con leggi che hanno costretto alla creazione di coalizioni posticce.
Il fatto che il Rosatellum, la legge in vigore, costringa a tenere in piedi le coalizioni è forse una delle vere ragioni per le quali alcuni partiti fanno fatica a liberarsene: per esempio la Lega che non sa decidersi se abbracciare o meno il proporzionale. Il partito di Salvini è l’osservato speciale del Pd che deve capire se troverà la forza per sfidare la propaganda avversa di Meloni, rinnegando il maggioritario. È chiaro che la presidente di Fratelli d’Italia griderebbe al tradimento un minuto dopo, se i segnali che alcuni leghisti stanno mandando ai dem dovessero concretizzarsi in una disponibilità effettiva a superare il Rosatellum. È chiaro che Salvini e il Pd sarebbero accusati di volere una legge elettorale proporzionale per costruire le condizioni per un nuovo governo di larghe intese, un Draghi due. Per questo Letta, per parare le accuse, non lascia passare un giorno, negli ultimi tempi, senza ripetere che l’esperienza di governo con il centro destra è finita e non più ripetibile.
Ieri il segretario Pd ha detto anche di non avere «paura della legge attuale, ci prepariamo a vincere anche con quella». Perché «non proponiamo di cambiare la legge elettorale per averne dei vantaggi. Penso che superare i limiti della legge attuale sia una priorità per tutti». Per Letta il sistema delle liste bloccate è «un meccanismo arido» che ha danneggiato il rapporto con gli elettori», di più è «un pericolo per la democrazia». Ne è tanto convinto il segretario che ha spiegato con le liste bloccate la crescita dell’astensionismo, in un’intervista alla Stampa martedì anche l’astensionismo alle amministrative dove però si vota con le preferenze. Ma le liste bloccate sono anche il sistema che hanno i capi partito per selezionare i parlamentari prima del voto, sistema tanto più importante con le delegazioni ristrette dal taglio dei parlamentari. Il messaggio del Pd alla Lega e agli altri, quando si dice pronto a parlare «di qualunque ipotesi», è che non ci sono solo le preferenze per superare le liste bloccate del Rosatellum. Ma anche i collegi a liste corte del sistema spagnolo o l’uninominale con il proporzionale come c’era al senato, in Italia, fino al 1992.

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