SOCIETA

L’estremismo delle democrazie bloccate

Il presidente della Corte costituzionale Amato: la Corte suprema è un attore politico
ANDREA FABOZZIitalia/usa/washington

Parlando della sentenza con cui la Corte suprema degli Stati uniti ha abolito il diritto all’aborto a livello federale, il presidente della Corte costituzionale italiana Giuliano Amato ricorda la profezia di Stephen G. Beryer, giudice della corte suprema che tre anni fa aveva affidato a una dissenting opinion (l’istituto che consente ai componenti del collegio di mettere nero su bianco un parere opposto a quello della maggioranza) la sue preoccupazioni per la sorte della sentenza Roe vs Wade, il precedente che fino a venerdì scorso tutelava il diritto all'aborto negli Usa. «Nel 2019 - ricorda Amato, nel suo studio al palazzo della Consulta - si trattava di decidere una questione relativa alle tasse in California che avrebbe dovuto pagare la Hyatt, la multinazionale degli alberghi. La Corte suprema, rovesciando una sua precedente sentenza del 1979, stabilì che gli Stati hanno un’immunità sovrana sulle cause civili sollevate da altri Stati. Vale a dire che possono essere citati in giudizio solo con il loro consenso. Beryer, che non era d’accordo con quella decisione, scrisse allora che la Corte era arrivata troppo facilmente all’overulling, la modifica di una precedente decisione, e con argomenti non sufficientemente solidi. Scrisse esplicitamente: “Non vorrei che questo preparasse un cambiamento sulla Roe vs Wade”».
È andata proprio così. La Corte ha smentito clamorosamente se stessa e lo ha fatto definendo la sua precedente sentenza «sbagliata in maniera eclatante, in rotta di collisione con la Costituzione fin dal primo momento». Decisione inconsueta anche nel linguaggio, non trova presidente?
La decisione è stata molto drastica anche nei toni. Ma L’overulling non è così infrequente, ha diverse centinaia di precedenti nella storia della Corte. Molti dei quali celebrati dai progressisti, perché i cambiamenti di opinione della Corte negli Stati uniti hanno seguito il filo dell’irrobustimento dei poteri del Congresso federale, dal New Deal in avanti. Sono stati proprio gli overulling a creare lo spazio costituzionale per i cambiamenti che intervenivano nella società e nella politica. L’attuale maggioranza conservatrice della Corte, invece, negli ultimi anni ha invertito la tendenza storica all’allargamento delle competenze federali, rafforzando gli Stati, anche con quest’ultima sentenza.
Che però dietro lo schermo di una questione di competenza colpisce a fondo un diritto delle donne.
Questo accade perché il clima negli Stati uniti nel frattempo è assai cambiato. È stata proprio Ruth Bader Ginsburg, la più celebre giurista liberal, qualche anno fa a domandarsi se fosse stato un bene aver provocato l’azione sulla Roe vs Wade. Si domandava se non sarebbe stato meglio continuare a combattere per l’aborto in sede politica, stato per stato, per ottenere maggioranze favorevoli. Un’analisi a mio modo di vedere ineccepibile: la radicalizzazione andava evitata. Roe vs Wade ha precluso a lungo una legislazione sull’aborto più equilibrata, come quella che c’è in diversi paesi europei.
Quella sentenza andava soprattutto difesa dagli assalti pro life, non è così?
La difesa non poteva che avvenire a livello politico. Ripensiamo a cosa è successo in questi ultimi anni. Mentre negli Stati a maggioranza repubblicana si portavano avanti tentativi capziosi di aggirare Roe vs Wade, rendendo di fatto impossibile abortire, due anni fa veniva eletto un presidente della Repubblica democratico. Un presidente che per una breve stagione ha anche avuto a disposizione la maggioranza nel Congresso per portare avanti una legge federale sull’interruzione di gravidanza - a quel punto lui sapeva che l’aborto era sotto scacco alla Corte suprema. Ma Biden non ha avuto la forza di spostarsi su una legge di tipo europeo e sostanzialmente non ha fatto niente, lasciando il campo ai giudici.
Il Congresso però, anche su questo tema, è bloccato dall’ostruzionismo della destra.
Sì, certamente, ma la proposta dei democratici è stata quella di una legge ricalcata sulla Roe vs Wade, per consentire l’aborto fino alla ventiquattresima settimana. Sarebbe stato possibile trovare quindici, magari anche solo cinque senatori repubblicani disposti a convergere su una legge di tipo europeo, come la nostra 194 che prevede cautele maggiori per l’aborto dopo il 90 giorno dalla fecondazione? Non lo so, ma nessuno ci ha provato. Gli Stati uniti sono ormai il prototipo delle democrazie in crisi dove prevalgono le posizioni estreme. Sistemi in cui o non si riesce a far nulla o si fanno le cose estreme. In Polonia la decisione estrema sull’aborto l’ha presa il legislatore, con effetti aberranti al punto che nessun medico interviene più per interrompere la gravidanza, neanche quando la donna muore a causa del suo essere incinta. Negli Stati uniti la decisione estrema l’ha presa la Corte suprema.
Presidente, lei dice: doveva occuparsene il legislatore. Lo dice però anche il giudice che ha scritto la sentenza, Alito, quando invita a riportare l’aborto sul terreno della rappresentanza politica. La giustizia costituzionale può arretrare di fronte alla tutela dei diritti?
Io non dico quello che dice Alito. Penso al contrario che lui abbia torto e che abbia ragione il presidente della Corte suprema, John Roberts: il collegio non aveva alcuna ragione di contestare la competenza federale sull’aborto. Roberts contestava le 24 settimane. L’interruzione di gravidanza ha bisogno di una disciplina articolata che tocca al legislatore. Nelle nostre mani di giudici costituzionali italiani sarebbe stato il classico caso in cui avremmo detto: “Così non va, ma non siamo noi che possiamo decidere. Tocca al legislatore stabilire i tempi e i modi per accrescere le cautele con il passare delle settimane di gestazione”. Sarebbe stata una delle ormai frequenti decisioni con le quali chiamiamo in causa il Parlamento. La cosa veramente grave, dopo questa sentenza americana, è che è stato messo in dubbio il potere del Congresso di legiferare, in futuro, sull’aborto.
Nella dissenting opinion, i tre giudici di minoranza rivolgendosi agli altri sei che hanno condiviso la sentenza scrivono: state invertendo la rotta di questa Corte per la sola ragione che adesso avete la maggioranza per farlo. È corretto, secondo lei, che anche la parte liberal veda ormai la Corte come un organo schiettamente politico?
È un fatto. Ricordiamoci che è stata la Corte suprema ad assegnare nel 2000 la vittoria a W. Bush contro Gore con il voto decisivo del giudice Antonin Scalia. Un giudice profondamente conservatore, ma mai così brutalmente politico come sembrano essere i giudici oggi. Perché oggi è il clima attorno alla Corte a essere determinante. Il giudice Clarence Thomas è stato per trent'anni silenziosamente conservatore, solo di recente lui, e sua moglie, si sono scatenati a favore di Trump e della lobby delle armi. Oggi (ieri, ndr) Sabino Cassese scrive sul Corriere che il mandato a vita dei giudici supremi è un problema. Un altro problema è che i presidenti degli Stati uniti che indicano i giudici non sono più quelli di una volta, con Trump sono ormai gli interpreti di questa America polarizzata.
È stato proprio il giudice Thomas a scrivere nella sua opinione concorrente che la stessa sorte, adesso, toccherà ad altri diritti civili. Le pare probabile?
Il rischio c’è, Thomas ha citato le sentenze Griswold del 1965 sulla contraccezione, Lawrence del 2003 sulla omosessualità e Obergefell del 2015 sui matrimoni omosessuali. Del resto, se si afferma la dottrina dell’originalismo in base alla quale sono costituzionalmente tutelate solo le libertà menzionate nella Costituzione, allora è chiaro che l’emendamento che riconosce il diritto ad armarsi c’è, quello sull’aborto non c’è.
Vedere la Corte suprema al centro della polarizzazione politica, bersaglio quotidiano delle manifestazioni di protesta, le suscita qualche pensiero preoccupato? Può accadere anche da noi?
La situazione è assai diversa, la Corte suprema è da sempre una protagonista della scena americana. Alcuni anni fa girava con successo un testo teatrale che vedeva due attori nei panni di Scalia e Bader Ginsburg. In quel sistema le dissenting opinion su questioni cruciali danno una visibilità ai giudici che qui non conosciamo. No, direi che in Italia almeno al momento siamo piuttosto lontani da una situazione del genere, anzi noi giudici costituzionali ci siamo trovati con il problema di rendere nota la nostra esistenza...
Anche da noi però c’è chi vorrebbe introdurre la dissenting opinion.
Io stesso sono stato favorevole. Nel 1963, rientrando dagli Stati uniti con tutto l’entusiasmo di aver studiato quel sistema, contribuii a un libretto di Mortati favorevole all’introduzione della dissenting. Con gli argomenti che conosciamo: prepara il cambiamento per il futuro, fornisce le basi per la correzione di una decisione sbagliata... Tutto corretto, per carità, ma da quando ho condiviso dall’interno l’esperienza del giudizio costituzionale mi sono convinto che i costi possono superare i benefici. In particolare se ci sono propensioni personalistiche all’interno della Corte. Per esempio, se mi accorgessi di essere in minoranza su un argomento ghiotto per l’opinione pubblica, invece di intervenire per cercare di far cambiare idea ai miei colleghi potrei starmene zitto e preparare una dissenting che mi dia grande visibilità esterna. Meglio di no. Ho cambiato idea, è il mio personale overulling.

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