VISIONI

L’estate alla Casa del Jazz, creatività femminile e ’900

MARIA PIA DE VITO, FRANCO D’ANDREA
LUIGI ONORIITALIA/ROMA

L’edizione 2022 di Summer Time, rassegna in corso al parco della Casa del Jazz, prevede vari filoni tra cui avanguardia «storica» e contemporanea, orchestre, gruppi giovanili, produzioni originali. Maria Pia De Vito, vocalist e compositrice di vaglia, ha in quest’ultimo ambito proposto, il 19, nuovo gruppo e repertorio nel recital This Woman’s Work. Nel 2022 è il suo secondo progetto, dopo A Still Volcano Life, lavoro che ha messo a fuoco la creatività femminile in musica e poesia realizzato con la pianista Rita Marcotulli (complice artistica di antica data) e il trombettista Luca Aquino.
I due lavori hanno tratti comuni: illuminare la condizione delle donne sotto vari aspetti, indagare il rapporto parola poetica-musica, l’elaborazione durante la «clausura forzata» pandemica. This Woman’s Work è un’alchemica, rivelatoria, corroborante combinazione di elementi. Intanto la com-partecipazione di musicisti giovani, passionali, originali in una dimensione spesso live electronics: Mirco Rubegni alla tromba; Giacomo Ancillotto alla chitarra elettrica; Matteo Bortone al basso elettrico; l’eclettica Evita Polidoro alla batteria. Altro fattore la riuscita sovrapposizione tra liriche di scrittrici (Virginia Woolf, Susan Sontag, Edna St.Vincent Milay…) e musiche contemporanee. Tutto il quintetto si muove in maniera lirico-adrenalinica, capace di proporre in tono messianico There Comes A Time di Tony Williams e in modo struggente Lonely Woman di O.Coleman.
La Parco della Musica Records pubblicherà, ad inizio 2023, quanto è stato presentato da Franco D’Andrea con una speciale orchestra il 14, produzione originale e prima assoluta. Se il lavoro della De Vito nasce da un piccolo collettivo, qui l’operazione coinvolge tanti soggetti. I vari movimenti ascoltati alla Casa del Jazz fanno parte della suite Sketches of the 20th Century.
IN ESSA CONFLUISCONO radici e diramazioni della poetica di D’Andrea: jazz tradizionale e linguaggio di Monk; (poli)ritmi africani e dodecafonia; aree intervallari e scuola viennese; Armstrong, Ellington, Webern, Berg, minimalismo… È il «suo» Novecento che risuona con colori e timbri orchestrali anticonvenzionali, un’integrazione iperbolica di linguaggi, un’esplorazione strutturalmente ritmico-timbrica, con spazi di solismo (Cisilino, Tracanna, Succi, Pierantoni…) sempre incastonati nel discorso collettivo e guidati con sapienza da Battista.
Il direttore ha parole di elogio per la statura compositivo-solistica di Franco D’Andrea che mantiene la sua abituale riservatezza. È comunque soddisfatto per la riuscita di un concerto di musica vitale e policroma, poliritmica e jazzistica in senso ampio fino a conglobare la contemporaneità.

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