VISIONI

Napoli e le mille fessure del mondo

WORLD MUSIC
GRAZIELLA BALESTRIERIitalia/napoli

Ritornano dopo sei anni gli Almamegretta e in realtà questo lasso di tempo passato nel costruire un nuovo album è già un’ottima notizia, considerato che ormai siamo abituati a dischi nuovi che vengono sfornati senza costrutto. Non è il caso di Senghe, per fortuna, dove il tempo, in realtà è qualcosa di fondamentale. E un nuovo suono del mondo questo lavoro della band partenopea, forse anche qualcosa di più. Un suono che viene da lontano, che non ha più una casa ma che la trova su qualche sponda, Senghe non è un prodotto ma un senso di appartenenza, un nuovo approdo, perché approdare vuol dire farcela e provare a vivere. E non è più solo Napoli, benché la lingua napoletana sia dominante come sempre ( anche se c’è l’inglese e l’ebraico). Dicevamo, non è solo Napoli ma è tutto il resto del mondo. E poi come nei suoni di Homo Transiet o Toy la contraddizione di queste «fessure» (il significato di Senghe in napoletano) sta proprio lì, quando diciamo non è solo Napoli ma tutto il resto del mondo.
NAPOLI È QUELLA FESSURA che serve per guardare quell’aldilà che ormai non ha più porte, che non fa entrare i suoi figli, che ha messo le sbarre ai confini e che punta i fucili in faccia bambini, che oramai non hanno più il senso della vita ma riconoscono solo la morte. Da Napoli si creano queste fessure, perché quella è la città che ha sempre accolto, che ha sempre subito ma che non ha mai respinto. Napoli e la sua cultura accolgono e mai rigettano in mare. È così lo specchio di questo mondo è Senghe, e alla fine nell’ascoltare brani come Miracolo O campo e Sulu non farete altro che recepire l’indifferenza che oramai è la prima «qualità» dell’uomo, che ci uccide ogni giorno ma non allo stesso modo. C’è la fratellanza perduta nelle parole di Raiz, ed è facile ascoltando attentamente le parole di Figli pensare a tutta quell’umanità lasciata morire annegata in mare, respinta. Raiz canta «e non è figlio sul chi te figlio è figlio pur chin nun t’assomiglia ...è figlio e chi so piglia», accompagnato da una musica che è misto tra dub e reggae cupo, che musicalmente esprime un dolore fortissimo e un dubbio atroce nel futuro e nell’uomo. A tratti hai in mente una nuova vita che può farcela, salvandosi, a tratti puoi pensare che quel figlio che non ti assomiglia in realtà è comunque tuo, perché lo cresci ed è la parte positiva di questa canzone, la parte positiva della vita che ce la fa, poi ad un tratto la frase «è figlio e chi so piglia» in realtà riporta più ai bambini lasciati annegare in mare, trovati senza vita sulle rive ed il mare e la terra diventano un cimitero di anime che non si salvano.

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