EUROPA

Avviso ai fan del maggioritario: non si ingessa un paese diviso

LEGGE ELETTORALE
ANDREA FABOZZIFRANCIA

«Paralisi», «Schiaffo», «Ingovernabile». I francesi sono assai meno abituati degli italiani a trovare titoli del genere sulle prima pagine dei giornali all’indomani delle elezioni politiche. La legge elettorale a doppio turno di collegio è servita proprio per garantire che dalle urne uscisse sempre un vincitore chiaro, per questa ragione è un po’ il santo Graal dei maggioritaristi di casa nostra. Ma stavolta non ha funzionato. Dimostrando che anche in Francia i meccanismi di trasformazione dei voti in seggi (questo sono le leggi elettorali) possono arrivare fino a un certo punto. Possono forzare la scelta degli elettori, spingendoli a scegliere il meno peggio. Possono sovra rappresentare i vincitori e di conseguenza penalizzare le seconde e terze forze. Ma non possono costruire artificialmente una maggioranza solida sopra un paese diviso. E non possono costringere gli elettori ad andare alle urne. Al contrario, riducendo la scelta ai meno peggio spesso inducono a restare a casa o a non esprimersi: tra il primo e secondo turno in Francia in una settimana si è perso circa un milione di elettori e un altro milione in più rispetto al 12 giugno è andato al seggio per votare scheda bianca.
Ma forse il limite principale dei sistemi elettorali con il «doping» maggioritario è che esasperano la sfida, da un lato spingendo a costruire coalizioni forzate (questo in fondo testimonia la polemica immediata sul mancato gruppo unico di Nupes), dall’altro trasformando gli avversari in nemici durante la campagna elettorale. Finita la quale è assai più difficile immaginare accordi in parlamento di quanto sarebbe stato senza la retorica, preventiva, del vincitore a ogni costo. Insegnamenti che sarebbe bene non dimenticassero i maggioritaristi di casa nostra, assieme al fatto che in Francia si discute da anni di introdurre quote di proporzionale (lo aveva promosse lo stesso Macron).
Da vent’anni, dopo una riforma costituzionale, il presidente della Repubblica in Francia può contare anche sul traino delle presidenziali, stavolta non è bastato. Cinque anni fa il doppio turno aveva garantito a Macron la maggioranza assoluta in parlamento, ma allora En Marche! aveva vinto anche al primo turno, che è quello dove i partiti si pesano, quasi doppiando i secondi (Les Républicains). Il ballottaggio nei collegi aveva cristallizzato questa bipartizione, occupandosi di falciare i terzi: il Front National con l’8,75% dei voti al secondo turno nel 2017 si era visto riconoscere solo l’1,38% dei seggi in parlamento: appena otto.
Questa volta è andata assi diversamente. Al primo turno Nupes (Mélenchon) e Ensemble! (Macron) si erano equivalse prendendo praticamente gli stessi voti e il 25,7% entrambe. Dietro di loro c’erano altri due partiti sopra il 10%, soprattutto quello di Le Pen con il 18,7% poi Les Républicains. Il secondo turno, non essendosi alzata la «diga» anti Le Pen, ha rafforzato ma non stravolto le posizioni di partenza. E così ieri dietro i macroniani (38,5%) e la sinistra (33,8%), Rassemblement National ha comunque raggiunto il 17,3% dei voti e anche Les Républicains il 7%. Il secondo turno non è stato un affare a due.
Naturalmente la regola first-past-the-post determina comunque una distorsione, e così malgrado queste elezioni abbiano impedito a Macron di raggiungere la maggioranza assoluta, abbiano visto l’exploit di Mélenchon e la consacrazione di Le Pen, guardando al rapporto tra i seggi effettivamente conquistati e le percentuali di voto si nota che tutto questo è successo malgrado Ensemble! e Les Républicains siano stati favoriti da una distorsione positiva tra il 3% e il 4% (più seggi rispetto al voto popolare), Rassemblement National leggermente penalizzato (-2%) e la sinistra assai penalizzata (tra il meno 7% e il meno 8% di seggi rispetto al voto popolare). Anche perché Mélenchon ha perso un grande numero di seggi per poche centinaia di voti e addirittura sette seggi per meno di cento schede (persino tre o quattro).

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