INTERNAZIONALE

L’Ungheria blocca la tassa minima sulle multinazionali nell’Unione Europea

VETO ALL’ECOFIN DI ORBÁN. PER IL COMMISSARIO UE ALL’ECONOMIA GENTILONI IL PROBLEMA È L’UNANIMITÀ DELLE DECISIONI
MARIO PIERROungheria/europa/bruxelles

Il governo ungherese guidato da Viktor Orbán ha posto il veto nella riunione dei ministri dell’economia dell’Ecofin a proposito della «minimum tax» al 15% per le multinazionali e al momento ha confermato di non avere l’intenzione di sostenere l’adozione della direttiva europea. Il veto di Budapest era stato preannunciato nei giorni scorsi. È invece caduto quello della Polonia, che di recente ha ottenuto il via libera Ue al suo «piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr).
Questa decisione sembra essere condizionata almeno da due fattori: il primo è un messaggio alle multinazionali: possono considerare l’Ungheria un porto franco dove riprodurre - nelle attuali o in altre forme - le condotte opportunistiche dal punto di vista fiscale, pur in presenza di una tassazione minima tutto sommato contenuta. Il secondo messaggio è comprensibile sul tavolo della contesa geo-economica in corso nell’intera area dei paesi europei anche orientali dopo l’aggressione militare russa contro l’Ucraina e le sue conseguenze sul prezzo del gas e delle materie prime o sull’inflazione. Lo ha detto ieri il ministro delle finanze Mihaly Varga: con «la grave guerra in corso in Europa» e il conseguente shock economico, «l’introduzione di un’imposta minima globale» in questa fase «provocherebbe un grave danno per l’economia dell’Ue». Non è ben chiaro come una tassazione sulle multinazionali, che avrebbe tempi diversi rispetto alle urgenze gravi del momento, potrebbe amplificare gli sviluppi negativi dell’economia collegati alla guerra in Ucraina. Sta di fatto che il veto serve a Orbán a prendere tempo e giocare la sua partita su un campo ampio. Per questo il suo governo ritiene «inopportuno affrettare l’introduzione della minimum tax. La motivazione ufficiale è che il «piano non sarebbe ancora pronto» e che nel parlamento nazionale «aumentano le voci critiche contro questo accordo».
Non la pensa così il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire che ha gestito questa fase complicata di negoziazioni perché il suo paese è alla guida della presidenza Ue fino alla fine di questo mese. L’Ungheria, a suo dire, si era espressa a favore dell’accordo raggiunto in sede Ocse tra 136 paesi anche dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Per Le Maire la direttiva proposta dalla Commissione Ue porterebbe benefici per l’intera economia europea e tutti gli ostacoli tecnici per approvare la direttiva all’unanimità sarebbero stati ormai rimossi. Saranno fatti altri tentativi per raggiungere in extremis un’intesa, ha assicurato il ministro francese.
«Se si va alla ricerca di un caso di scuola» sul fatto che «l’unanimità crea difficoltà in molte circostanze, lo si può trovare», nel mancato accordo sulla minimum tax. «Difficile averne uno più chiaro - sostiene il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni - Stiamo ancora lavorando e siamo ancora convinti di poter ottenere l’approvazione» definitiva «di entrambi i pilastri» della minimum tax «entro il 2024», ha aggiunto Gentiloni secondo il quale «manca ancora uno Stato membro per l’unanimità sul secondo pilastro» della direttiva che prevede appunto l’introduzione di un’aliquota al 15% per le multinazionali che operano nell’Unione Europea. «Per noi, il primo pilastro - sulla riallocazione dei diritti di tassazione per far pagare le tasse ai colossi del tech non solo dove hanno i loro quartier generali ma anche dopo operano - e il secondo pilastro fanno parte dello stesso disegno».
Un rapporto dell’osservatorio EuTax Effetti della tassa minima globale sulle entrate, pubblicato ieri dagli economisti Mona Barake, Theresa Neef, Paul-Emmanuel Chouc e Gabriel Zucman sostiene la necessità di arrivare a aliquote più ambiziose (21%). Sarebbe il primo passo per raddoppiare il gettito dagli attuali stimati 80 miliardi di euro a quasi 170 miliardi. Tra l’altro l’aumento sarebbe necessario per contenere una riduzione della base imponibile su cui verrà applicata l’imposta del 15% che rischierebbe di ridurre il gettito da 83 miliardi a 64, il 23% del guadagno oggi previsto.

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