INTERNAZIONALE

Nuove promesse da Johnson. Soldi, armi e addestramenti

VISITA A SORPRESA A KIEV DEL PRIMO MINISTRO BRITANNICO
SABATO ANGIERIucraina/donbass/gb

Ora la “Moskva”, la nave da guerra russa affondata ad aprile dalla marina ucraina, non sarà più sola in fondo al Mar Nero. Si concludeva con questo motto di gioia e scherno il comunicato del ministero della difesa di Kiev ieri poco dopo le 12. Al largo delle coste della città, infatti, il “Vasily Bekh” un rimorchiatore della flotta russa che stava portando munizioni, armi e personale verso l’Isola dei Serpenti, è stato colpito e affondato, secondo quanto riferito, per mezzo di un missile Harpoon.
SECONDO lo stato maggiore ucraino la nave di Mosca trasportava un sistema missilistico terra-aria di tipo Tor, utilizzato soprattutto dalla contraerea e molto efficace. Tuttavia, il “Vasily Bekh” e il suo equipaggio non sono mai riusciti a raggiungere l’isolotto occupato fin dall’inizio della guerra (e diventato famoso per una storia di resistenza all’ultimo sangue poi rivelatasi una montatura) e ora giacciono sul fondale marino. Il Cremlino non ha ancora diffuso nessuna informazione ufficiale sul numero di marinai caduti.
Neanche un’ora dopo un caccia russo Su-25 è precipitato nella regione russa di Belgorod, a pochi chilometri dal confine con il territorio ucraino di Kharkiv. Secondo l’agenzia Tass si trattava di un volo di addestramento durante il quale l’aereo ha colpito dei tralicci dell’alta tensione ed è poi precipitato. In questo caso il pilota sarebbe vivo.
È ANDATA PEGGIO a 26 dei soldati russi impegnati nello spostamento di una colonna di mezzi in Donbass. La manovra è stata individuata dal “Comando Est” di Kiev (lo stesso ad averne dato notizia) e i militari sono rimasti tutti uccisi. Gli stessi ufficiali hanno riferito di aver distrutto anche l’ennesimo drone-spia, un veicolo blindato per il trasporto di personale e un deposito di carburante.
Non una grande giornata per le manovre di Mosca, non c’è che dire. Forse anche per questo le parole del premier britannico, Boris Johnson, palesatosi all’improvviso nell’afoso pomeriggio di Kiev, sono sembrate ancora più roboanti. «Tutte le prove» ha infatti dichiarato Johnson senza dilungarsi in spiegazioni, indicano che le forze russe «hanno subìto pesanti perdite» durante l’invasione dell’Ucraina. Andriy Yermak, capo del gabinetto di Zelensky, ha fatto sapere che i due leader hanno discusso della fornitura di armi pesanti, del sostegno economico all’Ucraina e del rafforzamento delle sanzioni contro la Russia. Nello specifico, Johnson ha offerto un programma di addestramento sul campo di battaglia per 10 mila soldati ucraini. «Il programma potrebbe cambiare l’equazione di questa guerra» ha aggiunto, «sfruttando la più potente delle forze, la determinazione degli ucraini a vincere». Ça va sans dire che le reazioni del governo ucraino sono state euforiche, in una giornata segnata già dalla visita dei leader di Italia, Francia e Germania che hanno recato in dono il proprio supporto alla candidatura nell’Ue dell’Ucraina.
DAL PUNTO DI VISTA diplomatico il cambiamento più importante potrebbe essere rappresentato, tuttavia, dal ritorno sulla scena di colei che ha avuto il ruolo di demiurgo della politica estera europea per oltre una decade: Angela Merkel. Durante un’intervista rilasciata al media tedesco RedaktionsNetzwerk Deutschland (Rnd), l’ex-cancelliera si è dichiarata per la prima volta aperta alla possibilità di impegnarsi in prima persona per porre fine alla guerra in Ucraina. Al momento però, dato che «la questione non è stata posta» non ci sarebbe nulla di concreto. Contrariamente a quanto professato da molti leader e media europei, inoltre, Merkel ha ribadito che Putin va «preso seriamente» e ha fatto un breve cenno auto-critico al passato recente raccontando che l’anno scorso «da un lato, Putin non era più disposto a un incontro nel formato Normandia. Dall’altra parte, anche io non sono riuscita a creare un ulteriore formato di discussione tra Europa e Russia per un ordine di sicurezza europeo».
DEL RESTO, sembra evidente che la direzione intrapresa non sia affatto quella dell’apertura. Questa guerra sembra averci riportato indietro di trent’anni in tre mesi e non si riesce ancora a intravedere la fine di questa tragica spirale. Mentre nell’est i combattimenti continuano a Severodonetsk e in molti altri centri minori delle regioni di Lugansk e Donetsk, i civili dell’ex-impianto chimico “Azot” sono ancora intrappolati nella struttura. Le evacuazioni annunciate da Mosca a partire dal 14 giugno per tre giorni di seguito non sono mai avvenute. E, ora, se è vero che anche i militari ucraini iniziano ad asserragliarsi nella fabbrica, ci si chiede quale sarà il destino di questa povera gente; augurandosi in silenzio che una Mariupol sia già stata abbastanza.
IERI, COMUNQUE, il governo ucraino ha approvato una risoluzione per impedire ai cittadini russi di entrare in Ucraina senza visto. La mossa al momento appare piuttosto simbolica, dato che le frontiere tra Ucraina e Russia sono chiuse da quando quest’ultima le ha varcate in armi il 24 febbraio. Il presidente Zelensky ha scritto sui social media che la decisione è stata motivata da «minacce senza precedenti alla sicurezza nazionale, alla sovranità e all’integrità territoriale» dell'Ucraina.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it