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L’occasione mancata di Biden e i nuovi rapporti di forza

Vertice delle Americhe
ROBERTO LIVIamerica latina/usa/los angeles

Per il presidente Biden il vertice delle Americhe di Los Angeles è stato, come sostiene un editoriale del quotidiano spagnolo El País, «un’occasione persa» per riaffermare la leadeship degli Stati Uniti, capace di dare forza e unità di obiettivi all’ «emisfero occidentale» ( le Americhe). La decisione, per fini di politica interna Usa, di escludere dal vertice Cuba, Venezuela e Nicaragua ha provocato anzi un massimo di critiche e fratture. Oltre i tre esclusi, cinque presidenti latinoamericani e i leader politici di vari paesi caribegni (in tutto in rappresentanza di 200 milioni di persone) non hanno partecipato al vertice di Los Angeles.
E mai in precedenza erano state rivolte tante e pesanti critiche all’Organizzazione degli stati americani, Osa, il «braccio (ideologicamente) armato» degli Stati uniti. Il presidente Messicano Lopez Obrador ne ha chiesto lo scioglimento. Il capo di Stato argentino Fernández ha affermato che un rilancio istituzionale dell’Osa deve passare per l’esclusione dell’attuale direzione politica, in primis del segretario golpista (Bolivia 2019) Luis Almagro.
Su un tema, quello delle migrazioni, Biden ha ottenuto un accordo, sottoscritto dai rappresenanti di 20 paesi - compresi quelli più critici come il Messico e l’Argentina - che prevede un maggiore «filtro» dei paesi terzi ai migranti che premono sui confini statunitensi e una più larga possibilità di attuare respingimenti.
Ma il fatto che la dichiarazione non sia stata siglata sia dai tre paesi del triangolo delle migrazioni - Guatemala, Honduras e San Salvador, i cui presidenti hanno deciso di non partecipare al vertice -, sia da Cuba (nell’ultimo anno si calcola che centomila cubani abbiano tentato di entrare negli Usa), esclusa quest’ultima per non conformarsi ai canoni made in Usa della democrazia, lascia un forte strascico di dubbi sulla reale capacità di attuazione dell’accordo.
Come pure ha suscitato forte scetticismo il contributo deciso dagli Usa per favorire sviluppo, sanità e cura dell’ambiente dei paesi «produttori» di emigrazione: in tutto 314 milioni di dollari, più 25 milioni per finanziare servizi sociali nei Paesi terzi che accolgano emigrati. Un cifra ben poco consistente se paragonata ai 40 mila milioni di dollari votati dal Congresso Usa per armare l’Ucraina. O ai miliardi di dollari di investimenti diretti della Cina in America del Sud e nei Caraibi.
Per i paesi a sud del Rio Bravo il vertice ha rappresentato una nuova e chiara possibilità di esprimere l’esigenza di ottenere una generale revisione dei rapporti interamericani. Non è più tempo di politica delle esclusioni decise da Washington, né del ripristino, voluto da Trump, del della politica neo-coloniale predicata dalla dottrina Monroe. L’America latina, nel suo complesso, percepisce che la guerra in Ucraina e la reazione occidentale nei confronti della Russia ha cambiato i rapporti strategici internazionali, rafforzando il suo potere nei confronti degli Stati Uniti.
Sono soprattutto i leader del progressismo latinoamericano, dal presidente cileno Gabriel Boric, all’argentino Alberto Fernández al peruviano Pedro Castillo, che si sono espressi a favore di una maggiore integrazione del subcontinente, rafforzando le attuali istituzioni, Celac e Mercosur soprattutto, per giungere a ridefinire i rapporti sia col Nord del continentente, sia con l’Europa, come ha proposto il presidente messicano López Obrador.
Il continente latinoamericano possiede il 60% della biodiversità del pianeta, il 25% dei boschi tropicali, il 28% della terra atta alla coltivazione, il 20% della capacità idroelettrica ( della quale solo un quinto è stato fino a oggi sfruttato). Si presenta dunque come un cardine della lotta contro il cambiamento climatico. Il che, fornisce un gran vantaggio competitivo in un futuro prossimo in cui le soluzioni basate sulle energie rinnovabili costituiscono le risposte più vantaggiose contro il riscaldamento globale e per generare energie pulite ed alimenti.
Dare materialità all’integrazione latinoamericana - come afferma l’ex presidente boliviano Gíarcía Linera- è una priorità anche per i due candidati alle presidenziali degli schieramenti progressist, Gustavo Petro in Colombia, e in Brasile, Lula da Silva. Se avranno successo, si assisterà probabilmente a un nuovo corso del progressismo latinoamericano.

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