VISIONI

La ragazza di Catania che piange un po’, lasciando Milano

Habemus Corpus
MARIANGELA MIANITIITALIA/milano/catania

La scena è insolita, soprattutto per un bar di Milano. Nel centro del locale c’è una ragazza, una delle cameriere, che saluta una signora non giovane. Si guardano negli occhi, si dicono frasi gentili, si abbracciano e, quando la signora se ne va, la cameriera non riesce a trattenere l’emozione e comincia a piangere. È un pianto sommesso che lei cerca di smorzare ricacciando le lacrime, asciugandosi gli occhi. Chiede scusa, la ragazza, respira, ma la commozione è più forte della volontà e lei, per pudore, va nel retro a ricomporsi. Un cliente le dice «Ma non devi scusarti di nulla, anzi. È bello vedere che c’è ancora qualcuno capace di emozionarsi così».

Quando la cameriera ci porta al tavolo il caffè, non riesco a tacere, io riesco raramente a tacere, e le dico che è molto bello ciò che le è successo. La barriera formale fra il lavoratore e il cliente cade all’istante, io domando e lei racconta e il racconto è il seguente.
«Mi dispiace, ma non riuscivo a trattenermi. Quella signora è una cliente abituale che vedo tutti i giorni. Qui, in questo bar, mi sono trovata benissimo, con i colleghi, con i titolari, con i clienti e mi sono affezionata. Ma adesso me ne vado, e mi dispiace». E dove va? «Io sono di Catania e torno in Sicilia. Quando mi alzo, laggiù, vedo a destra l’Etna e a sinistra il mare. La prima cosa che farò sarà mangiare una granita al pistacchio e un arancino. Metterò su dieci chili e poi andrò al mare dove farò brutta figura perché ho messo su dieci chili, ma chi se ne importa».
E perché torna a Catania se qui stava così bene?
«Per i soldi, per gli affitti. Qui la vita è troppo cara»
E perché era venuta via da Catania?
«Eh, perché…Perché lì tutto è difficile, lavorare, farsi pagare, farsi mettere in regola, spostarsi. Una delle cose che mi mancherà più di Milano è la metropolitana. Ma magari torno. Qui abita mio fratello. Resto là fino a settembre e poi vedo. La vita è così, tutta una scelta e una rinuncia, una scelta e una rinuncia».

Questo breve dialogo riassume ciò che già sappiamo, ma che, quando è raccontato in prima persona, ti butta in faccia il peso di tutte le scelte politiche sbagliate o ciniche o fatte per interessi di parte. Al nord la gente sa essere accogliente, ma la ferocia del mercato immobiliare butta ai margini, o indietro, chi non ha le tasche piene di soldi. Al sud la ferocia è di tipo diverso, ma il risultato non cambia perché costringe i propri giovani a emigrare per trovare ciò di cui avrebbero diritto. Il risultato è che, non sapendo o non volendo gestire in modo strutturale la politica del lavoro, della casa, dei diritti, l’Italia accetta che una parte dei propri giovani vada su, poi torni giù, e poi magari torni su, in una transumanza che non può nemmeno contare sulla possibilità di un progetto.
«La vita è tutta una scelta e una rinuncia», ha detto la ragazza di Catania. Per la scelta la capisco, ma perché sottolineare la rinuncia? Perché dare per scontato che non si può avere tutto, o che si deve rinunciare a tanto? Dentro quella frase sento un atteggiamento imposto dalle contingenze, una sorta di fato che respiri fin da piccolo. Cresci e consideri destinale il fatto che, prima o poi, te ne dovrai andare per poter lavorare e avere un salario, disporre di mezzi pubblici efficienti, avere occasioni di crescita professionale, o forse semplicemente per essere libera di scegliere chi amare e come amare.
E invece siamo ancora lì, a dover scegliere fra la granita al pistacchio e la metropolitana, fra la speranza di un lavoro e un affitto impossibile. Nord e Sud coalizzati contro i propri figli, e il loro futuro.

mariangela.mianiti@gmail.com

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