VISIONI

Avanguardia e ricerca ma niente accademia per Roscoe Mitchell

Tappa capitolina per l’82enne polistrumentista e compositore chicagoano insieme al suo quintetto
LUIGI ONORIITALIA/ROMA

Quando cominciano ad echeggiare le innodiche note di Odwalla, il pubblico romano nel parco della Casa del Jazz applaude, come aveva già fatto più volte durante l’esibizione del Roscoe Mitchell quintet. Quell’applauso, però, suona come una manifestazione di autoriconoscimento, l’innalzarsi di un’avanguardistica, orgogliosa «bandiera sonora» attraverso un brano di Mitchell che ha intrecciato la sua storia con quella ultracinquantennale dell’Art Ensemble of Chicago. Il battere delle mani segna anche lo sciogliersi di una forte tensione accumulatasi durante un’ora di musica senza interruzioni: accesa, imprevedibile, d’avanguardia e di ricerca.
IL SET DEL GRUPPO dell’82enne polistrumentista e compositore chicagoano è il terzo appuntamento del «Summer Time» della Casa del Jazz, rassegna che – ospitando anche i recital de «I concerti nel parco» – arriverà con un fitto programma al 7 agosto. Si è aperta il 5 giugno con una lunga giornata dedicata a Pepito e Picchi Pignatelli, il Music Inn e il jazz a Roma; il 7 ha visto il Saxophone Quartet di Anthony Braxton (James Fei, Ingrid Laubrock, Chris Jonas) con un concerto in cui ha dominato la scrittura del leader 77enne, sospesa tra «assenza di gravità» e sviluppo di un vero e proprio «organismo sonoro» collettivo. Ma Mitchell e Braxton sono due protagonisti assoluti della musica scaturita dall’associazione chicagoana AACM (nata nel 1965) e non a caso il direttore Luciano Linzi ha citato la visionarietà e creatività del fondatore Muhal Richard Abrams (scomparso nel 2017). Una musica radicata nel territorio e attiva nel sociale quanto tesa verso nuovi orizzonti espressivi, tra la Great Black Music e la fascinazione per la musica contemporanea. Il quintetto che ha suonato a Roma (unica data italiana; replica a Praga) è inedito, anche se i suoi componenti hanno, in varie occasioni, collaborato con Roscoe Mitchell che ha imbracciato sax sopranino ed alto: Tomeka Reid (violoncello), Silvia Bolognesi (contrabbasso), Tani Tabbal (batteria) e Doudou Kouate (percussioni e flauto). Il leader – magrissimo, quasi ascetico – ha giocato un ruolo in apparenza distaccato ma, in realtà, molto addentro all’evolversi del flusso sonoro. Nella prima parte dell’unico, cangiante brano Mitchell si è spesso limitato a poche note al sopranino, a brevi fraseggi disarticolati, spesso lontano dai microfoni.
NELLA SECONDA sezione – quando Tani Tabbal, compagno di tante avventure sonore, ha preso le redini e imposto un tempo velocissimo e trascinante – Roscoe Mitchell ha imboccato con un travolgente fraseggio la via del fiato continuo, modalità in cui la sua poetica trova espressione saliente. Eccellenti, nella complessa e variegata tessitura timbrico-ritmica, tutti gli altri musicisti/e: Silvia Bolognesi si è distinta per la potenza del suono, la pregnanza delle parti archettate, lo slancio espressivo di ogni suo intervento come l’attenzione all’equilibrio/squilibrio collettivo.
C’è stato lo spazio anche per un aforistico, breve bis, in uno stile puntillistico. Avanguardia e ricerca, niente accademia: Chicago for ever.

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