POLITICA

Seggi, la febbre da taglio attacca i partiti

I CALCOLI PER LE POLITICHE 2023
ANDREA FABOZZIITALIA

Trentasette. Non è la soglia di temperatura oltre la quale per un paio d’anni abbiamo temuto il Covid, ma una percentuale ugualmente preoccupante per i partiti che cominciano a pensare alle liste elettorali. Meno 37% è la quota di deputati e senatori che spariranno dal prossimo parlamento, così come deciso alla quasi unanimità nel 2020. Nel Palazzo i pentiti dell’(auto) amputazione sono tanti, ma ormai è fatta e da quel taglio partono tutti i calcoli e i ragionamenti sulle politiche della prossima primavera. E dalla legge elettorale, che invece non cambia. Le speranze di abbandonare il Rosatellum sono tramontate, che lo si dica esplicitamente o meno.
Tutt’al più potrà essere fatto qualche tentativo di correggere l’attuale legge elettorale. Per esempio concedendo all’elettore un secondo voto per la parte proporzionale, com’è in tutti i sistemi elettorali misti del mondo, com’è in Germania (sulla stessa scheda) e com’era con il Mattarellum (due schede diverse). Oppure si potrà recuperare lo scorporo, quel sistema per cui i voti che sono serviti a vincere nel collegio uninominale non vengono conteggiati anche per conquistare i seggi assegnati con il proporzionale. Entrambe le modifiche servono a rilassare un po’ le coalizioni: con i 147 seggi uninominali in palio con il Rosatellum i partiti saranno costretti a coalizzarsi ancora, ma è chiaro che sia nel centrodestra che nel centrosinistra sarà sempre più difficile. E così, per esempio, se in un collegio maggioritario il Pd dovrà chiedere di votare per un candidato 5 Stelle indigesto, con il doppio voto potrà lasciare ai suoi elettori quanto meno la soddisfazione di scegliere il simbolo dei dem nella quota proporzionale.
Naturalmente il taglio del 37% dei seggi non peserà su tutte le liste allo stesso modo. Qui entrano in gioco i sondaggi, che guideranno l’assegnazione delle candidature nei collegi uninominali. Mentre al proporzionale a dettare legge nelle liste bloccate, da quattro nomi, saranno ancora una volta i capi partito, motivo non ultimo per il quale la legge elettorale non sarà cambiata. Con il Rosatellum - com’è oggi, cioè prima della possibile innovazione del doppio voto - a dettare le danze è il voto nel collegio uninominale. La quota proporzionale è un sottoprodotto di quella scelta, per questa ragione i calcoli sulla base dei sondaggi sono particolarmente difficili. Molto dipende dai nomi che le coalizioni metteranno in campo nelle sfide dove chi prende anche solo un voto in più vince il seggio. Ma qualcosa si può già dire.
Per esempio che il Pd, sondaggi alla mano (l’ultima supermedia Youtrend assegna al partito di Letta il 21,1%) dovrebbe conservare più o meno intatta l’attuale delegazione alla camera, attorno ai cento deputati. Al netto di quelli (non tanti) che dovrà riconoscere agli alleati di sinistra nel «campo largo». Il partito di Letta può conquistare una sessantina di collegi proporzionali e una quarantina uninominali. L’unico partito che è destinato a crescere, di molto, è Fratelli d’Italia. Che nel 2018 ha preso 32 seggi a Montecitorio (oggi 37) e l’anno prossimo può invece vincerne 104 (64 al proporzionale). Un balzo del 180% rispetto all’attuale delegazione alla camera. A pagare saranno gli altri. Nel centrodestra la Lega, il cui gruppo parlamentare è cresciuto rispetto al 2018 (erano 123, sono 132 deputati) ma è destinato a scendere sotto gli 80. E soprattutto Forza Italia, che sulla base dei sondaggi può perdere più del 50% dei deputati, ne ha già persi 20 rispetto ai 103 del 2018 e le stime dicono che ne perderà altri 50. Ma c’è chi sta messo peggio, sono i 5 Stelle. «Colpa» del boom del 2018 (225 deputati), ridimensionato dopo quattro anni di trasformismo a 155 deputati, comunque troppi per quello che dicono sondaggi e stime per il 2023, che si fermano a una sessantina di deputati (si tratterebbe dunque di un crollo del 60% rispetto a oggi).
Numeri interessanti, ma che dicono ancora poco delle difficoltà con le quali sono alle prese i partiti nell’immaginare le liste elettorali. Il taglio imporrà dei sacrifici e il ricambio non è mai automatico. Il Pd, per esempio, ha una delegazione a Montecitorio abbastanza verde. L’80% del gruppo è alla prima o alla seconda legislatura. Sono pochi i deputati e le deputate che ne hanno fatte tre (solo 13), pochissimi quelli che ne hanno fatte cinque o sei (appena quattro e due di questi, Letta e Franceschini, certamente non sono sacrificabili).

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