VISIONI

«Dodo», surreale metafora d’Europa

SEZIONE PREMIÈRE
LUCA MOSSOfrancia/cannes

Il Dodo del titolo è un volatile dell'isola di Mauritius estinto oltre secoli fa e presenza ricorrente nella letteratura inglese da Twain a Lewis Carroll (che in Alice vi nasconde la caricatura di se stesso), compare a metà del film del greco Panos H. Koutras.
La sua funzione, al di là della sua surreale evidenza, è di accelerare le dinamiche di un gruppo di famiglia istericamente alle prese con i preparativi del matrimonio della figlia giovane con il ricco fidanzato. Quando, ciascuno con il suo fantasma personale, familiari e annessi si ritrovano nella grande villa borghese che ospiterà il ricevimento, la presenza incongrua di un animale che non dovrebbe neppure esistere fa sì che quanto è stato finora celato venga finalmente alla superficie.
DOPO AVER RIVELATO la voragine di debiti del capofamiglia (il bravo Akis Sakellariou), sulla scena sale un figlio segreto che, concepito trent'anni prima in Albania, recrimina ed estrae una pistola mentre il furto organizzato dalla fedele domestica «ex-sovietica» (che consente una battuta su russi e ucraini) viene sventato dalla signora (Smaragda Karydi), la quale, da ex-attrice propensa a travasare nella vita le pratiche e i sentimenti delle serie tv di cui è stata una diva, ha tranquillamente ingannato se stessa ospitando un ambiguo profugo siriano che parla il francese dei suoi anni verdi.
In questa resa dei conti tragicomica è facile leggere una metafora dell'Europa di oggi, in crisi economica forse irreversibile, capace di integrare energie nuove provenienti dall'esterno solo in forma criminale, indecisa persino nei desideri. Koutras la mette in scena nei modi di una farsa divertita, guardando ovviamente a Renoir ma senza prendersi troppo sul serio e soprattutto non condannando nessuno dei suoi personaggi.
NESSUNO è davvero positivo e nessuno è del tutto malvagio e chi li racconta sembra guardare prima di tutto a se stesso. Il finale riserva un'apertura al futuro, ma è tanto bizzarra che è difficile crederci: basta accontentarsi di un film che combina con una certa sapienza gli ingredienti giusti e che diverte in modo moderatamente intelligente.

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