CULTURA

L’arte di sbeffeggiare la realtà

Con il suo «Vantaggi di viaggiare in treno» (edito da Polidoro), l’autore spagnolo sarà ospite sabato al Salone
FRANCESCA LAZZARATOspagna/italia/torino

Nato a Madrid nel 1963, Antonio Orejudo appartiene a una generazione di scrittori che si sono mossi in ordine sparso, evitando di aderire a teorie e poetiche più o meno omogenee, sottraendosi tanto al realismo sociale del dopoguerra quanto allo sperimentalismo più audace. Tra tutti, Orejudo è quello che più sembra rifarsi a una grande tradizione letteraria che conosce a fondo (insegna letteratura spagnola all’Università di Almeria), rivisitata a partire da un’eccezionale abilità nella costruzione di strutture narrative complesse e da un senso dell’umorismo quasi grottesco e relativamente infrequente nel panorama della narrativa spagnola contemporanea, sia pure con felici eccezioni come l’Eduardo Mendoza di Il mistero della cripta stregata e Nessuna notizia di Gurb.
I LETTORI ITALIANI possono ora conoscere una delle opere migliori di Orejudo, Vantaggi di viaggiare in treno (ottimamente tradotto da Raul Schenardi per Alessandro Polidoro editore, pp. 120, euro 15), che arriva nelle nostre librerie a più di vent’anni dalla prima edizione in lingua originale: un romanzo così insolito e brillante da poterlo accostare alla perfida comicità di I due allegri indiani (Adelphi 2011), frutto del genio eccentrico di Juan Rodolfo Wilcock.
In un testo breve e densissimo, Orejudo offre ai lettori il piacere di misurarsi con un racconto perfettamente circolare, fitto di sorprese e fondato sulla constatazione che l’identità esiste solo in quanto enunciato narrativo, come spiega il protagonista a Helga Pato, incontrata per caso (o forse no) su un treno diretto a Madrid.
Lui, che afferma di essere uno psichiatra eterodosso, inanella storie e sentenze per tutto il primo, lunghissimo capitolo. Lei, che ha appena fatto internare in manicomio il celebre e coprofilo marito scrittore, ascolta e tace, in attesa di salire sul proscenio di un secondo capitolo dedicato alla sua storia di mancata studiosa, uxoricida fallita e spregiudicata agente letteraria, ansiosa di pubblicare i microracconti (irresistibili, in effetti, come quello che narra una storia di immigrazione con sintetica e feroce ironia) scritti da pazienti con patologie diverse e raccolti nella cartellina che lo psichiatra le ha consegnato prima di scomparire.
Sarà nell’ultimo capitolo che i due si ritroveranno sul medesimo treno, dopo movimentate avventure, indagini quasi poliziesche, furti di identità, morti plurime, incendi misteriosi... e proprio mentre il puzzle sembra ricomporsi, l’autore ne scombina di nuovo i pezzi, riportandoci alla situazione iniziale.
CURANDO all’estremo forma e linguaggio, Orejudo ci introduce in un uno spazio in cui realtà e finzione sfumano l’una nell’altra, dando vita a un gioco che ricorre a tecniche della più antica tradizione letteraria, come le storie incatenate o «a cornice», oppure a topos come quello del manoscritto ritrovato. E guarda con ogni evidenza a Cervantes, tanto da dichiarare che Vantaggi di viaggiare in treno deve molto a due delle Novelas Ejemplares, ossia «Il matrimonio degli inganni» (non a caso il primo capitolo si intitola proprio così) e «Il colloquio dei cani», tanto legate l’una all’altra da poterle considerare un tutt’uno (allo stesso modo, Orejudo dà al lettore la possibilità di leggere il suo libro come un romanzo, o come una raccolta di racconti).
UN’ECO CERVANTINA affiora poi, oltre che nell’asserita labilità dei confini tra realtà e finzione, anche nell’aperta rottura della verosimiglianza e nella scelta di un’impronta ludica, sostenuta da un’inventiva inesauribile.
La capacità di governare con fermezza un vortice di eventi, di caratterizzare magnificamente le voci narranti e di introdurre con naturalezza sottili riferimenti metaletterari, si accompagnano alla satira spietata del «sistema letterario»: si vedano, per esempio, il cinismo con cui Helga escogita e impone una strategia commerciale che prevede il lucroso inserimento della pubblicità nelle pagine dei libri, l’ironia su certi generi e certe scritture, lo sbeffeggiamento della critica, rappresentata dall’anonimo autore di una recensione in prima persona che brilla per assoluta incompetenza, o il pungente ritratto del vecchio studioso cui la letteratura è servita per conoscere e capire le persone, e che vede progressivamente franare il suo mondo fatto di libri, studio e letture.
ULTIMA e non meno importante suggestione è quella che, probabilmente al di là delle intenzioni dell’autore, sembra azzardare una lettura della «sindrome del complotto e del favoleggiamento di complotti talora cosmici», di cui parlava Umberto Eco in una sua lezione del 2015.
Dalla congiura planetaria di potentissimi pedofili fino alle tecniche governative di controllo tramite un minuzioso esame della spazzatura, in Vantaggi di viaggiare in treno si dispiega ironicamente una fabulazione paranoica ormai fin troppo familiare a noi tutti. E, anche se l’autore la attribuisce a un protagonista per il quale tutto è racconto, al lettore viene spontaneo porsi la stessa domanda avanzata da Franco Ferrari in un recente articolo sulla rivista Il Mulino: le teorie del complotto sono forse «l’ultima grande narrazione» che va riempiendo il vuoto lasciato dalla crisi delle «grandi narrazioni» precedenti? Un’ipotesi inquietante, se davvero siamo soltanto «le storie che ci raccontiamo».

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it