INTERNAZIONALE

Nell’epicentro della guerra: «L’inferno è in Donbass»

IL MESSAGGIO DI ZELENSKY
SABATO ANGIERIucraina/Odessa

«In Donbass gli occupanti stanno provando ad aumentare la pressione. È un inferno laggiù, letteralmente», ha dichiarato il presidente ucraino nel suo consueto messaggio notturno alla nazione. Zelensky ha poi insistito sul fatto che la regione sia «completamente distrutta» e ha di nuovo accusato i russi di essere colpevoli di genocidio ai danni del popolo ucraino. Dal canto suo l’11 maggio il presidente russo aveva affermato in un messaggio di congratulazioni al leader dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk, Leonid Pasechnik: «Sono sicuro che attraverso i nostri sforzi congiunti difenderemo l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale» della Repubblica.
PASECHNIK AVEVA ringraziato pubblicamente Putin sottolineando che il territorio di Lugansk «non tornerà mai sotto il controllo ucraino» e che la maggior parte dei suoi residenti vuole che diventi parte della Russia. Ieri il Cremlino ha rilanciato dichiarazioni attraverso le agenzie russe: «La liberazione dei territori dell’oblast di Lugansk è imminente».
In questa fase della guerra il Donbass è diventato l’epicentro degli scontri militari e mediatici tra Russia e Ucraina, soprattutto dopo la capitolazione dell’Azovstal. Forse nell’ottica dello stato maggiore russo la chiusura del capitolo Mariupol è una sorta di via libera per la stretta finale sul fronte est. Non che finora le truppe di Mosca qui si siano risparmiate. La quantità di ordigni lanciati quotidianamente verso i centri strategici ucraini non ha eguali nel Paese. Solo Mykolayiv sta soffrendo in modo comparabile i bombardamenti russi, ma qui l’impressione è che la stampa non sia così interessata. Mykolayiv non ha il valore simbolico del Donbass né l’importanza storica di Kiev o Odessa. Ma la città portuale è da oltre un mese senz’acqua e la sua popolazione è rimasta senza scorte alimentari e medicine.
IERI UN NUOVO ATTACCO missilistico nei pressi del centro ha sepolto vivi altri civili. Ma l’impressione è che Mykolayiv debba sacrificarsi per Odessa, compito al quale ha assolto tragicamente dal 24 febbraio a oggi.
A est, nei territori delle regioni di Donetsk e Lugansk ancora in mano ucraina, la situazione non è omogenea, sebbene tutta l’area sia il teatro di durissimi scontri d’artiglieria dall’inizio della guerra e nelle ultime due settimane l’intensità degli attacchi sia aumentata. I centri che scontano maggiormente il tentativo di sfondamento russo sono le città di Lyman, Avdiivka, Pisky, Severodonetsk e Lysychansk. Aree urbane nei pressi della frontiera che dal 2014 divide le repubbliche separatiste dal territorio ucraino e che potrebbero essere le prime a cadere. A poche decine di chilometri, anche Kramatorsk e Slovjansk stanno pagando un prezzo altissimo ma, trovandosi più nell’entroterra, qui la paura che i russi possano entrare in città da un momento all’altro è significativamente minore.
Molti dei bombardamenti sulle città ucraine partono da una città conquistata dai russi di nome Rubizhne. Proprio su questo piccolo centro si è espresso ieri il governatore della regione di Lugansk, Sergiy Haidai: «A Rubizhne è toccato lo stesso destino di Mariupol» ha dichiarato ieri Haidai, secondo cui il 90% della città è stata distrutta o danneggiata dai bombardamenti russi.
SEMPRE HAIDAI, dall’inizio della guerra attivissimo sui social network e sui media, ha fatto sapere che l’ennesimo tentativo di sfondamento russo a Severodonetsk di giovedì «è stato fallimentare». Tuttavia, secondo le autorità regionali, almeno altri 15 civili hanno perso la vita, tre dei quali sarebbero morti in seguito al bombardamento di una scuola in cui si erano rifugiati. Al momento in città ci sarebbero ancora tra i 15 e i 20mila civili rifugiati per la maggior parte sottoterra. Inoltre, l’esercito russo potrebbe aprire una nuova direttrice in Donbass da sud, ovvero dalle aree intorno alla città di Bakhmut. Quattro missili si sono abbattuti sul centro urbano nelle ultime 24 ore e diverse infrastrutture civili sono state danneggiate. Se a ciò si uniscono le voci sempre più insistenti di una possibile manovra delle truppe del Cremlino da Popasne proprio in direzione del Donbass, si potrebbe affermare che la strategia di accerchiare le città maggiori della regione per costringerle alla resa non sia affatto stata abbandonata dal comando russo. Potrebbe solo trattarsi dell’ennesimo rallentamento nel conseguimento degli obiettivi strategici.
L’IMPRESSIONE di chiunque sia riuscito a entrare in queste città è che i russi potrebbero arrivare da un momento all’altro. Soprattutto a Severodonetsk, dove l’ipotesi di una battaglia casa per casa sembra improbabile: rappresenterebbe una nuova trappola per l’esercito invasore che si troverebbe a fronteggiare delle forze nettamente inferiori per numeri e mezzi da una posizione di svantaggio. Non si tratterebbe della prima volta che i generali russi compiono scelte incomprensibili, quindi neanche quest’ipotesi si può scartare.
Chiudiamo come avevamo iniziato, con le parole di Zelensky. Dopo la delicata e contestata decisione di imporre la resa ai suoi uomini nell’acciaieria Azovstal di Mariupol, il presidente ucraino si trova a fronteggiare l’intensificarsi degli scontri in Donbass da una posizione molto difficile. In un discorso a studenti universitari il 19 maggio, Zelensky ha dichiarato che non può ancora fare appello ai suoi concittadini espatriati affinché rientrino: teme che «l'ultima fase della guerra potrebbe essere la più difficile e la più sanguinaria». In un momento in cui i trattati di pace sembrano una chimera, tali dichiarazioni risuonano come un monito lapidario terribilmente verosimile.

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