VISIONI

Fire and Water Quintet, il jazz è d’avanguardia

GRUPPO TUTTO AL FEMMINILE AL CENTRO D’ARTE PATAVINO
MARCELLO LORRAIITALIA/padova

Myra Melford, piano; Mary Halvorson, chitarra; Susie Ibarra, batteria e percussioni; Ingrid Laubrock, sax tenore e soprano; Tomeka Reid, violoncello: di per sé un quintetto tutto femminile nel jazz di ricerca non è cosa di tutti i giorni, ma un quintetto così è praticamente una all-star dell’avanguardia. Melford è da un trentennio una autorevole protagonista del jazz più avanzato, con collaborazioni con musicisti come Dave Douglas e Marty Ehrlich e con una ampia esperienza come leader, e anche tutte le altre sono anche leader per conto proprio. Melford aveva già lavorato con ciascuna di loro, e sua è stata l’iniziativa di costituire questo «Fire and Water Quintet»: per il quale ha allestito una serie di composizioni ispirate a Cy Twombly, senza l’intenzione di tradurre in musica le opere dell’artista statunitense, ma piuttosto sollecitata dall’affinità che avverte tra il suo approccio al pianoforte, caratterizzato da un forte elemento gestuale e energetico, e il procedimento caro a Twombly di dipingere al buio.
È IL MATERIALE che si ascolta nell’album For the Love of Fire and Water (Rogueart), registrato nel 2021 e adesso presentato in tour in Europa: tappa finale alla Sala dei Giganti al Liviano, a Padova, nell’ambito del ciclo di concerti del Centro d’Arte. Il primo a colpire è proprio il piano della leader: a tratti sembra di riascoltare il profondo moto ondoso del pianismo di Cecil Taylor, ed è un’emozione intensa: ma sono sprazzi su cui Myra Melford non si attarda, per inoltrarsi invece in composizioni minutamente disegnate, utilizzando calibrate geometrie strumentali variabili, per lo più senza coinvolgere tutto l’organico. È una musica che vive in un alternarsi di tensione e distensione, che sopravviene in temi spesso piuttosto cantabili e ritmicamente incisivi: senza titolo, le composizioni sono semplicemente numerate, e tutte assieme si configurano come un’unica, ampia suite.
DAL VIVO si avverte forse un eccesso di costruzione, e l’esclusione di spazi più spontanei, di improvvisazione più sostanziale, e non solo come interpretazione affidata alle singole musiciste di un cammino prefissato. Ma chissà se momenti più a briglia sciolta non pregiudicherebbero la virtù affabulatoria di questa musica, che il pubblico ha approvato calorosamente: la prima sequenza dura oltre mezz’ora, che scorre quasi senza accorgersene, la seconda è poco meno lunga, fino a un totale di un’ora e mezzo senza alcuna stanchezza.

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