INTERNAZIONALE

Una “Norimberga”? Si può e si deve fare meglio

Crimini in Ucraina
ANTONIO MARCHESI*russia/ucraina

Le notizie sull’attività di investigatori, antropologi forensi, periti balistici, Ong umanitarie come Human Right Watch, impegnati nella documentazione dei crimini commessi in Ucraina hanno ormai la stessa cadenza degli aggiornamenti sull’andamento del conflitto. La Procuratrice Venediktova informa regolarmente sul numero degli episodi sui quali sta indagando, con il contributo di personale prestato da diversi Stati (fra cui gli Stati Uniti). Altri paesi (Germania, Polonia, Svezia …) hanno avviato inchieste in proprio, in applicazione del principio della giurisdizione universale (che permette di svincolare la giurisdizione da criteri di territorialità o di nazionalità delle persone coinvolte). Altri ancora, fra cui l’Italia, hanno scelto di collaborare con il Procuratore presso la Corte penale internazionale. Ciascuna di queste modalità sottintende uno sviluppo processuale diverso. E la questione dell’utilizzo delle prove raccolte – in giudizio, al di là dell’importanza che potranno avere a futura memoria storica – non è affatto secondaria.
La prima ipotesi, quella di un processo in Ucraina, non sarebbe, nonostante la forza dell’argomento della territorialità, la soluzione migliore. Se si esclude un procedimento in contumacia che, ammesso che fosse consentito, avrebbe valore poco più che simbolico, un processo in Ucraina (quantomeno nei confronti di imputati russi) presuppone che quest’ultima nel frattempo abbia vinto la guerra. Anche se così fosse – e al momento non possiamo prevederlo – diventerebbe un processo dei vincitori nei confronti dei vinti … con tutti i limiti del caso.
L’ipotesi di un processo in un altro paese - l’opzione “Pinochet” - risponde a un’idea condivisibile: che i crimini internazionali, tali in quanto lesivi di valori universali, meritano una risposta altrettanto internazionale.
Alla luce della limitatissima istituzionalizzazione della comunità internazionale, sarebbe però “decentrata”: affidata, cioè, a ciascuno stato, ognuno avendo un interesse proprio a non lasciare impunite condotte aberranti. Anche questa ipotesi presenta limiti evidenti: non sono moltissimi gli ordinamenti statali che la prevedono e questi la condizionano in genere alla presenza dell’accusato sul territorio. L’effetto concreto finisce per consistere unicamente in una limitazione delle vie di fuga di chi nel frattempo ha perso il potere.
La terza ipotesi, la risposta affidata a un’istituzione a tal fine creata, è più convincente. L’istituzione in questione può essere, però, di due tipi … e la differenza è marcata. Può essere un tribunale ad hoc, come quelli per la ex Iugoslavia e per il Ruanda (di cui è stata proposta la creazione, ricorrendo inevitabilmente a una modalità istitutiva diversa da una risoluzione del Consiglio di sicurezza). Si tratterebbe, però, di un tribunale speciale, creato a posteriori, in contraddizione con un principio essenziale della giustizia penale. L’alternativa è la Corte penale internazionale – non riconosciuta però tra gli altri da Usa, Russia e Cina - : un organo creato proprio per non dover ricorrere a tribunali speciali, che applica il principio di irretroattività e che avrebbe giurisdizione a seguito dell’atto di accettazione depositato dall’Ucraina nel 2014. Il limite principale: non potrebbe, in base alle proprie regole statutarie, includere tra i capi di imputazione quello di aggressione, ma “solo” quelli di crimini di guerra, di crimini contro l’umanità e – è improbabile ma non si può escludere in partenza – genocidio. Mettendo i diversi elementi sul piatto della bilancia, ci sembra che sia questa la soluzione di gran lunga preferibile. Ovviamente, anche in questo caso stiamo parlando di uno scenario futuro e incerto dal momento che neppure la Corte penale internazionale celebra processi in contumacia.
Dunque, anche se, nell’invocare davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una “Norimberga” per l’Ucraina, Zelenski ha probabilmente inteso semplicemente dire che i crimini commessi dai Russi non devono essere lasciati impuniti, il richiamo di quel precedente storico una precisazione la merita. È condivisibile a condizione che per “Norimberga” s’intenda di quello storico processo il lascito ideale, e cioè l’idea che certi crimini sono internazionali e meritano una risposta internazionale; non lo è affatto se si considera che, sia pure in nome della comunità internazionale, a Norimberga i vincitori, davanti a un tribunale speciale, hanno processato i vinti. A 77 anni di distanza si può e si deve fare meglio.
* Docente di Diritto internazionale nell’Università di Teramo

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