VISIONI

Il cinema algerino «soffocato» dall’abolizione del fondo pubblico

LA CRISI STA AZZERANDO LA PRODUZIONE
REDAZIONEalgeria

Il cinema algerino «è sul bordo dell’asfissia». Così, in una intervista pubblicata dal quotidiano «Le Monde» la regista Sofia Djama ( Les Bienheureux, 2017, presentato alla Mostra di Venezia). A dare un colpo mortale, dopo la pandemia, è stata l’abolizione del Fondo di sviluppo per l’industria cinematografica, l’unico strumento di finanziamento statale istituito cinque anni dopo la dichiarazione di indipendenza dalla Francia. Numerosi i progetti rimasti bloccati negli ultimi due anni, e come dicono altri intervistati la situazione è oggi talmente precaria da rendere impossibile ogni investimento futuro. Altrettanto catastrofico lo stato delle sale, ridotte ormai a un numero esiguo - poco più di unaventina - in tutto il Paese.
IL FONDO (Fdatic), anche se non riusciva mai a coprire interamente il budget di un film, era per molti autori e produttori un punto di partenza fondamentale per costruire coproduzioni internazionali. La sua soppressione, ufficializzata il 31 dicembre 2021, è una delle conseguenze dei tagli di bilancio imposti dalla nuova finanziaria, ma anche - secondo alcuni - della «poca trasparenza» nella sua gestione. É quanto sostiene Aziz Hamdi, responsabile del Gtpcat, un collettivo indipendente di lavoro sulla politica culturale nato nel 2013: dei finanziamenti a un singolo progetto e del budget complessivo del fondo non si sapeva nulla, né dei crtirei coi quali erano assegnati, eppure nonostante questo, è convinzione comune che il Fondo era un riferimento per quelle nuove generazioni del cinema algerino che ora si trovano nel deserto.
Nonostante le promesse governative e l’istituzione di un nuovo centro nazionale per l’industria cinematografica - che dipende direttamente dal primo ministro e che avrebbe dovuto sostituire quello precedente - tutto rimane fermo - e il nuovo centro non è mai stato resto operativo.

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