CULTURA

Ritratto del Gramsci «nero» oltre la leggenda

PER TRALERIGHE LIBRI
GUIDO LIGUORIITALIA

I fascisti «doc» sul Secolo d’Italia, quelli «post» sul Giornale, e poi CasaPound: sono stati in tanti a destra a speculare su Mario Gramsci, fratello di Antonio, fascista da inizio anni ’20. La propaganda e l’ignoranza ne hanno fatto il primo segretario del Fascio di Varese (dove si era sposato e viveva), ne hanno esaltato l’adesione alla Repubblica di Salò (in anni in cui però era prigioniero in Australia), hanno fatto scrivere che era morto per le sevizie subite nei lager alleati, poiché rifiutava di ripudiare la fede nel duce. Insomma, su Mario Gramsci - morto nel 1945, poco dopo il ritorno in Italia, per il tifo contratto nel viaggio (egli stesso aveva del resto esaltato in una lettera le cure ricevute durante la prigionia) - si è parlato e scritto molto, ma quasi sempre a sproposito.
DI RECENTE UN LIBRO di Massimo Lunardelli, Gramsci il fascista. Storia di Mario, il fratello di Antonio (Tralerighe libri, pp. 182, euro 15) ha provato a fare chiarezza sul personaggio, con un’indagine storiografica condotta tra archivi militari italiani e stranieri, libri sulle guerre d’Africa, giornali nazionali e locali, testimonianze rilasciate nel corso degli anni dalla moglie (metà guatemalteca) e dai due figli, ora scomparsi, che invano cercarono di replicare alle tante sciocchezze che venivano leggendo.
Chi è stato dunque Mario Gramsci, fratello minore di Nino, a lui legatissimo da bambino, nato a Sorgono, dove si erano manifestati i primi sintomi della tubercolosi ossea che afflisse il futuro dirigente comunista e dove era stato arrestato il padre Ciccillo, fatto che aveva distrutto per sempre la tranquillità e il benessere della famiglia?
L’ADESIONE AL FASCISMO di Mario era nota, come anche il fatto che il fratello più famoso avesse cercato comunque di mantenere i rapporti (come testimoniano le lettere scritte ad altri congiunti), andando anche a trovarlo per una ventina di giorni a Varese nel 1921, e chiedendo suoi recapiti e notizie anche più tardi in carcere, finendo infine per troncare i rapporti non per questioni ideologiche o politiche, ma per la superficialità con cui Mario forniva notizie allarmanti e non vere sulla salute del detenuto, tali da preoccupare inutilmente l’anziana madre e gli altri parenti sardi.
L’accurata indagine di Lunardelli smentisce la leggenda che Mario fosse un dirigente di primo piano del Fascio varesino, come anche che la sua affermazione (fatta alle autorità militari che ne valutarono il comportamento al ritorno dalla prigionia) per cui sarebbe stato espulso per la sua parentela con Antonio. Risulta invece che Mario, non avendo sfondato in politica, aveva tentato invano di improvvisarsi imprenditore, brevettando senza successo un nuovo tipo di spazzola di gomma. Infine era tornato nell’esercito, non avendo forse altra strada per mantenere la famiglia. Aveva già combattuto nella Prima guerra mondiale, dove era stato ferito più volte, decorato e congedato col grado di tenente. Partì a inizio anni ’30 per l’Africa, nelle truppe coloniali, col grado di capitano. I giudizi dei superiori sono altalenanti, non del tutto negativi, benché reparti da lui guidati avessero vissuto diverse disfatte nel corso della guerriglia contro gli etiopi.
Fatto prigioniero dagli inglesi nel dicembre 1940, detenuto in Egitto e dal ’41 in un campo di prigionia in Australia, al ritorno in Italia le sue dichiarazioni - ritrovate da Lunardelli negli archivi dell’esercito - infrangono per sempre il mito del Mario Gramsci fascista indomito. Mario dichiarò infatti alla Commissione militare che lo interrogò, al pari degli altri ex prigionieri, che dopo il proclama Badoglio dell’8 settembre aveva chiesto invano di combattere contro i tedeschi, era stato riconosciuto «cooperatore» degli Alleati e da fedele monarchico aveva subìto in prigionia le minacce dei fascisti rimasti tali.
Della veridicità di queste affermazioni non vi è prova. Anzi sono legittimi molti dubbi. Ma esse bastano comunque a darci un quadro più veritiero, meno strumentale, di Mario Gramsci: un uomo portato - come aveva scritto Antonio dal carcere - «a fare castelli in aria per ogni piccola cosa», vittima in fin dei conti delle sue stesse illusioni.

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