SOCIETA

Emporio armati

EDOARDO VENDITTI, MATTIA GIUSTO ZANONITALIA/vicenza

Sempre in gruppo e per la maggior parte uomini. Camminano con sguardi rapiti, tutto luccica, tutto brilla, come in una gioielleria. È l’Hit Show di Vicenza – la più grande fiera d’armi italiana – e a brillare non sono gioielli, ma le canne dei fucili e i bossoli lucidati per l’occasione. Un’enorme affluenza di visitatori intasa gli stand. Nessuno si limita a guardare, tutti vogliono toccare le armi, rigirarsele tra le mani fino a lasciare unte le impugnature. L’attenzione dei più viene catturata da un fucile da cecchino color cachi, l’arma visibilmente più grande di tutta la manifestazione. «Questo è un giocattolino, lo pieghi e te lo porti nello zaino», dice un visitatore. I bambini giocano tra gli espositori e fremono per provare le armi, nonostante il regolamento lo vieti. Dalla sala convegni si sentono gli applausi conclusivi di un dibattito sulla detenzione domestica.
È INUTILE GIRARCI INTORNO, in Italia sempre più persone si stanno avvicinando al mondo delle armi. Chi lo fa per divertimento, chi invece per paura di eventuali irruzioni in casa. Il risultato è un vertiginoso aumento delle armi in circolazione: i dati del Viminale, aggiornati al luglio 2018, parlano di 1.315.700 licenze rilasciate nel Paese per detenzione legale.
Negli ultimi anni è fortemente calato l’interesse degli italiani per la caccia, eppure sono aumentate le richieste di porto d’armi. A fronte di una diminuzione di licenze per difesa personale – molto più difficili da ottenere – e una flessione del 9% per uso caccia, a trascinare le statistiche verso l’alto è il porto d’armi sportivo: +27% negli ultimi tre anni. A ciò non corrisponde però un aumento degli iscritti ai registri dei poligoni. «Se si guarda ai numeri degli associati alla Federazione Italiana Tiro al Volo, si vede che ci sono al massimo 150 mila tesserati, quando le licenze concesse sono invece 600 mila», afferma Giorgio Beretta dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere (Opal). «È chiaro che la gran parte dei richiedenti non lo fa per sport, ma perché è la procedura più semplice e veloce per detenere armi in casa».
A SENTIRE LUCA di Bartolomei – figlio di Agostino, lo storico capitano della Roma suicidatosi nel 1994 con la sua pistola – questa tendenza si deve alla condizione socioeconomica del Paese. «Le nuove generazioni sentono di non avere futuro e la capacità economica della classe media si è notevolmente ridotta. Chi si arma lo fa per difendere a ogni costo i propri beni, perché vede nelle poche cose che ha tutto ciò che lo connota come individuo». A marzo Di Bartolomei ha pubblicato il libro Dritto al cuore – armi e sicurezza: perché una pistola non ci libererà mai dalle nostre paure. «Mi spaventa il modo in cui le armi vengono detenute in casa, spesso alla portata di tutti. Con più armi aumenteranno incidenti e omicidi domestici e mi terrorizza l’idea che il papà di un amichetto dei miei figli possa fare come il mio, convinto al momento dell’acquisto di saper gestire un’arma». Nel testo Di Bartolomei parla di quello che definisce un «grandissimo ossimoro»: l’80% degli italiani ha fiducia nell’operato delle forze dell’ordine ma si sente comunque insicuro e pretende di difendersi da solo.
L’Italia è uno dei Paesi più sicuri d’Europa con tassi di criminalità che decrescono ogni anno, ma la percezione è ben diversa. Con un diffuso senso di insicurezza la nuova legge sulla legittima difesa voluta dal ministro dell’Interno Matteo Salvini ha trovato terreno fertile, portando a un grande dibattito pro-armi/disarmisti.
Anche all’interno del fronte pro c’è del malcontento. Per Maurizio Piccolo, presidente dell’Associazione Utilizzatori delle Armi (Auda), la legge sulla legittima difesa è una «marchetta elettorale». «Assurdo circoscriverla solo alle abitazioni e attività commerciali. Non capisco il senso di prevedere restrizioni a una norma che dovrebbe valere in ogni contesto». Il presidente dell’associazione vive appena fuori Milano e non fa mistero di essere disposto a utilizzare le proprie armi per difesa personale.
ANCHE DANIELE, ragazzo ventisettenne di Ostia, è in possesso di licenza per tiro sportivo. In casa detiene tre armi ed è iscritto al Pisana Shooting Club di Malagrotta (Roma). «Da bambino avevo molte pistole giocattolo, questa passione me la sono portata nel tempo e adesso ho semplicemente cambiato i giocattoli». A differenza di Maurizio Piccolo, Daniele ci tiene a specificare che per lui le armi sono solamente uno sport e non uno strumento di difesa. «Averle nel cassetto non ti rende più sicuro, anzi. Ciò che mi rende più sicuro sono telecamere, porte blindate e sistemi d’allarme». Aggiunge che trova assurdo che molte persone si muniscano di porto d’armi di tipo sportivo senza frequentare un poligono. «Se non ti alleni mentalmente a sparare, in una situazione di pericolo non sai come comportarti e metti ancora più a repentaglio la tua incolumità». Al tempo stesso si dichiara contrario alle proposte di legge per obbligare a lasciare le armi sportive al poligono: «Mi piace sapere dove ho le mie cose e non vedo perché dovrei lasciarle là».
Non è della stessa opinione Gabriella Neri, che da anni si oppone fermamente alla detenzione domestica. La mattina del 23 luglio 2010 il marito Luca Ceragioli, direttore dell’azienda Gifas Electric di Massarosa (LU), e il collaboratore Jan Hilmer vengono freddati da Paolo Iacconi, ex rappresentante dell’azienda. L’omicida non lavora più lì da qualche anno per problemi di salute ma quel giorno chiede un incontro con gli ex datori di lavoro. «Durante la riunione», racconta Gabriella «questa persona tira fuori una pistola e fa fuoco su Luca e Jan. Incendia quindi gli uffici per poi togliersi la vita nei bagni dell’azienda».
Iacconi possedeva un porto d’armi per uso sportivo nonostante avesse gravi squilibri psichici. Aveva tentato più volte il suicidio ed era stato sottoposto a un Trattamento sanitario obbligatorio. «Nonostante la sua condizione nessuno ha denunciato agli organi di polizia che possedesse un’arma da oltre vent’anni, né i familiari, né le strutture psichiatriche presso le quali era in cura, perché la legge italiana non prevede l’obbligo di notifica alle questure». In seguito alla morte del marito, Gabriella ha creato Ognivolta onlus, un’associazione che si batte per l’istituzione di un database comune tra forze dell’ordine e reparti di psichiatria degli ospedali in modo da non concedere o revocare il porto d’armi a soggetti non idonei.
SECONDO L’AUDA, la vicenda di Gabriella Neri è un caso-limite e non può essere presa come pretesto per una critica tout-court alla diffusione delle armi legalmente detenute. Per Maurizio Piccolo «il problema non è il numero di armi legalmente detenute ma il controllo che viene effettuato sui proprietari. I legali detentori non sono criminali, ma animali da difendere».
All’inizio del 2019, il professor Paolo De Nardis dell’Università La Sapienza ha presentato la prima ricerca sugli omicidi commessi con armi legalmente detenute dal titolo «Sicurezza e Legalità, le armi nelle case degli italiani». Lo studio prende in considerazione il 2017 e riporta 16 casi. Contro questi dati si è però scagliato l’Opal di Beretta, per il quale la ricerca tralascia molte casistiche quali omicidi preterintenzionali, quelli commessi da individui che detengono armi per lavoro e soprattutto quelli compiuti da persone con armi legalmente detenute dai familiari. «Se si prendono in considerazione tutti questi casi, si vede che il totale non è 16 ma 42. C’è una bella differenza».
Beretta aggiunge che «contrastare questi omicidi sarebbe molto facile se solo si riconducessero le licenze ai loro rispettivi ambiti. Se una persona ottiene il porto d’armi per uso sportivo, che detenga le proprie armi all’interno del poligono al quale dovrebbe registrarsi. Se poi pretende di tenere un’arma in casa per difesa personale, è giusto che compia invece tutta la trafila burocratica e l’iter previsto per tale scopo».
*(Già studenti della Scuola di giornalismo della Fondazione Basso)

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it