VISIONI

«La figlia oscura», le crepe interiori e una via di redenzione

Esordio alla regia per l’attrice Maggie Gyllenhaal, una traduzione filmica del romanzo di Elena Ferrante
MAZZINO MONTINARIusa/israele

Una donna perde i sensi. Le capita in continuazione. È come se senza preavviso, pur in modo ricorrente, si interrompesse la connessione con il mondo e con il tempo. Luoghi e momenti del passato e del presente si sovrappongono, entrano in contatto, creando un cortocircuito. Qual è la causa? Un malessere fisico? Un disagio esistenziale? Perché Leda Caruso, quarantottenne docente universitaria di letteratura comparata italiana, di origine inglese che vive e insegna a Boston, madre di due figlie, Bianca e Martha di 25 e 23 anni, improvvisamente non si ritrova più ed è costretta a rintracciare se stessa, la donna che era e la donna che è oggi? Quali demoni agitano la sua mente? È troppo concentrata sul suo lavoro di traduzione e studio dei sensi possibili delle lingue? Non sopporta la sua immagine di giovane donna incastrata in una famiglia che forse non desiderava così tanto? Rimpiange i bei momenti con il marito che un tempo amava? Soffre perché non prova i sentimenti dettati dal senso comune? Pensa ancora allo studioso affascinante, una sorta di semidio, e a quei professori che un po' l'aiutavano, un po' le erano di impedimento per la sua carriera? Vorrebbe che le persone si comportassero educatamente e non ossequiassero la legge del più forte? Ma poi, lei, è debole o forte? Ha paura o è indifferente? È remissiva o indipendente e per niente manipolabile?
SI POTREBBE continuare all'infinito con domande che generano altri quesiti, perché La figlia oscura, opera prima dell'attrice Maggie Gyllenhaal, tentativo ambizioso di tradurre cinematograficamente l'omonimo romanzo di Elena Ferrante, è un lungo susseguirsi di enigmi sull'identità di una donna che si è concessa una vacanza-lavoro su un'isola greca (che non c'è), Kyopeli, e che nella solitudine tanto desiderata si ritrova, invece, in un vero e proprio ingorgo composto da varia umanità: da Lyle il custode, quello che da trent'anni si occupa della maggior parte delle case del posto, a Will il giovane aiutante, studente di economia che arrotonda con un lavoro stagionale, fino a una numerosa e chiassosa famiglia del Queens, che presumibilmente nell'isola conduce attività losche. La figlia oscura è un film nel quale gli atti ostili si alternano ad azioni che sembrano indicare la via per una redenzione. E dove il passato sembra generare il presente o, all'opposto, il presente pare fornire l'occasione per rivisitare e reinterpretare il passato. Leda nei suoi primi saggi che l'hanno resa una celebre studiosa parla, quando si riferisce al tradurre, di «attenzione», di «accoglienza», ma così non pare essere nella spiaggia della piccola isola greca. È distratta da se stessa, poco disposta ad accogliere gli altri, anche se in taluni casi avrebbe tutte le ragioni per chiudersi e respingere l'invadenza e l'arroganza del prossimo. In realtà, attenzione e accoglienza tornano d'attualità, quando la giovane mamma della famiglia chiassosa, Nina, pare ridestare in Leda ricordi e possibili forme di empatia. L'essere giovani e trovarsi prigioniere di un matrimonio, anche quando non ci sono i segni delle catene ai polsi. Questi sono gli indizi che sembrano accomunare Leda e Nina. «A volte mi spaventa il pensiero di non potermi prendere cura di loro. E se svenissi quando sono da sola con loro mentre tu sei in Arizona?». È uno degli accecanti ricordi di Leda.
UNA DOMANDA d'aiuto a cui il marito risponde superficialmente con le più classiche delle rassicurazioni. Leda non deve preoccuparsi, non deve temere, è una madre. Che per l'uomo è sinonimo di amore incondizionato e indubitabile. Ma è proprio così? E non intravedere le crepe che in ogni essere umano si formano, non è una forma di prevaricazione? Il meccanismo narrativo che procede per frammenti utili a ricomporre l'intera figura, suggerisce di non andare oltre con le spiegazioni di alcuni elementi significativi. Arriveranno le risposte o, quanto meno, nel forsennato affastellarsi di scene al presente e flashback, tutto troverà una spiegazione. Uno sviluppo per certi versi deludente, che prevede programmaticamente la rottura di una narrazione lineare e di alcuni schemi esistenziali consolidati per poi confluire in un racconto prevedibile e tradizionale.

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