INTERNAZIONALE

Tra etiopi e tigrini una tregua c’è e sembra funzionare

In vigore dal 25 marzo, l’intesa ha permesso ieri l’arrivo dei primi aiuti umanitari dopo tre mesi nella regione ribelle sotto assedio
FABRIZIO FLORISETIOPIA/TIGRAY

Delle guerre si parla spesso con enfasi, poi all'improvviso, sembrano sparire ma non scompaiono, subiscono un’eclissi mediatica, semplicemente non se ne parla più: il caso della guerra nel Tigray non fa eccezione. Dal 25 marzo è in atto un cessate il fuoco, ma già da settimane vi è stato un allentamento dei combattimenti ed è confermato che vi sia stato un colloquio diretto tra il premier etiope Abiy Ahmed e il leader del Tplf (Tigray People's Liberation Front) Gebremichael Debretsion.
È UNA TREGUA DECISA per consentire la consegna di aiuti umanitari a milioni di persone che necessitano urgente assistenza. Secondo il Programma alimentare mondiale (Pam) quasi il 40% dei tigrini soffre di «estrema mancanza di cibo», ma sarebbero 9 milioni le persone che hanno bisogno di aiuti nel Tigray e nelle regioni limitrofe, colpite dai combattimenti. «Le nostre squadre, i rifornimenti umanitari e i camion - fa sapere il Pam - sono pronti a consegnare non appena l'accesso sicuro e illimitato sarà garantito dalle parti». Ci sono voluti più di 16 mesi per arrivare qui, ma meglio tardi che mai.
Il governo etiope dice che la tregua è «indefinita» ed «efficace immediatamente» mentre il Tplf assicura che farà «tutto il possibile per sincerarsi che questa cessazione delle ostilità sia un successo». Il governo etiope «spera che la tregua migliorerà sostanzialmente la situazione umanitaria sul terreno e apra la strada alla risoluzione del conflitto senza ulteriori spargimenti di sangue». E «invita i tigrini a ritirarsi dalle aree che hanno occupato nelle regioni vicine».
LA PRESSIONE DIPLOMATICA, l’inflazione sui beni alimentari al 41,9% (e potrebbe crescere ancora per l’effetto Ucraina) e la stanchezza della guerra sembrano i fattori che, principalmente, spiegano la tregua. Stati uniti, Onu e Unione Europea hanno tutti accolto con favore la notizia. Per il segretario di Stato americano Antony Blinken, Washington «esorta le parti a basarsi su questo annuncio per un cessate il fuoco negoziato e sostenibile che comprenda i necessari accordi di sicurezza». Il segretario delle Nazioni unite Antonio Guterres aggiunge che «questi sviluppi positivi devono ora tradursi in miglioramenti immediati sul campo». Ed è quello che sta succedendo: ieri, dopo oltre tre mesi, 20 camion di aiuti umanitari sono entrati nel territorio controllato dai ribelli del Tigray con oltre 500 tonnellate di cibo e dal Pam comunicano che i progressi nelle consegne sono costanti.
ALLA FINE IL TPLF RESTA al suo posto nonostante si sia trovato di fronte un esercito nazionale supportato da eserciti e milizie regionali e dalle truppe eritree, ma anche Abiy mantiene la sua posizione nonostante i tigrini e i ribelli Oromo si siano avvicinati pericolosamente fino alla capitale Addis Abeba. Tutto sembrerebbe restare come 16 mesi fa, ma non è uno zero a zero, ci sono migliaia di vite che mancano, migliaia sono i feriti, migliaia le donne violentate, gli ospedali e le infrastrutture distrutte, migliaia i rifugiati e e le persone che soffrono la fame perché la guerra procede per sottrazione.
AVVIATA NEL NOVEMBRE 2020, l’«operazione per il ripristino della legalità» nel Tigray si era subito trasformata in guerra regionale e internazionale con il coinvolgimento dell’esercito eritreo, per poi propagarsi alle regioni dell’Amhara e dell’Afar. La storia continua a dispetto della storia.

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