La centrale nucleare di Khmelnytskyi, 300 chilometri ad est di Kiev, è stata oggetto di un’ispezione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica nelle giornate dell’11 e del 12 marzo per verificare che nel sito non fosse detenuto materiale nucleare non regolarmente dichiarato, che non vengano manomessi sistemi di sicurezza e che non siano condotte attività militari. Nonostante la visita fosse stata programmata da tempo in accordo con il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e non sia in alcun modo legata alle vicende degli ultimi giorni, le (comprensibili) proteste sui social e sulle pagine online dei siti di informazioni ucraini non si sono fatte attendere.
Gli ucraini si chiedono se fosse il caso che un’agenzia internazionale legata alle Nazioni unite compisse questa ispezione in un periodo così difficile e delicato per la nazione. «Il governo ucraino ha più volte chiesto alla Aiea di intervenire con più decisione sul governo russo per obbligare i militari di Mosca a non coinvolgere i siti nucleari nel conflitto. Non è mai stata data una risposta» afferma Zoia Vlakova, studentessa di ingegneria alla Khmelnytskyi National University. Da parte sua, German Galishchenko, ministro dell’Energia, aveva avanzato la proposta all’Osce e all’Aiea di stabilire una zona off-limit alle azioni militari di trenta chilometri attorno agli impianti nucleari ucraini e di inviare all’interno di questi propri rappresentanti così da garantirne la sicurezza.
A rigirare il coltello nella piaga ci ha pensato anche Peter Kotin, direttore della Energoatom, l’azienda statale atomica ucraina, che in un’intervista rilasciata all’agenzia ucraina Interfax ha fatto notare come «all’interno dell’Iaea lavorano molti rappresentanti della Federazione russa e la stessa Russia è uno degli sponsor principale dell’organizzazione atomica sin dalla sua nascita».
Il sito di Khmelnytskyi, dove è avvenuta la visita degli ispettori internazionali è la più piccola tra le quattro centrali atomiche ucraine; dei due reattori VVER da 1.000 MW presenti di costruzione russa, solo uno è attualmente in funzione. Nei piani del governo sovietico prima e ucraino poi, sin dal 1985 era previsto un ampliamento del sito con l’aggiunta di altri due reattori da 1.000 MW ciascuno.
Dopo una sospensione di trent’anni, dovuta all’incidente di Chernobyl, alla caduta dell’Urss e all’indipendenza dell’Ucraina, Kiev ha deciso di rispolverare il progetto. A causa della guerra di Crimea e del Donbass, nel 2017 il governo ucraino ha recesso i contratti con la russa Rosatom per la fornitura di reattori VVER, sostituendoli con reattori Westinghouse ad acqua pressurizzata (PWR) di terza generazione plus, più sicuri, economicamente più convenienti e con costi di manutenzione inferiori ai PWR di terza generazione. Il progetto finale, oggi sospeso a causa della guerra, prevedeva la connessione della centrale di Khmelnytskyi con il cosiddetto Ponte energetico ucraino-europeo per trasferire energia elettrica dall’Ucraina all’Unione europea attraverso la Polonia e l’Ungheria. Nel frattempo, il già citato Peter Kotin, ha annunciato che l’Ucraina ha siglato un accordo con la Westinghouse per sostituire la Rosatom nella fornitura di barre di combustibile nucleare per tutti i reattori della nazione.
«Oggi abbiamo combustibile sufficiente per due anni, nel frattempo la Westinghouse preparerà le nuove forniture». Si parla di circa 200-250 milioni di euro all’anno. Si sta anche cercando di trovare un’alternativa all’invio delle barre di combustibile esausto che, dopo essere state custodite nelle piscine di raffreddamento presenti nelle centrali locali per tre anni, sono inviate negli impianti di riprocessamento russi di Mayak e di Krasnoyarsk. Dopo l’accordo con la Westinghouse, sarà possibile trovare un altro Paese disposto a riprocessare materiale nucleare. A Chernobyl si sta lavorando per ricollegare la rete elettrica al fine di riattivare i sistemi ausiliari e il sistema di raffreddamento della piscina, che contiene circa 18.000 barre di combustibile esausto. Attualmente i generatori diesel di emergenza garantiscono il regolare flusso d’acqua per diversi giorni, ma anche in caso di completo blackout, secondo lo stesso Peter Kotin, l’impianto sarà al sicuro per almeno altri sette giorni, tempo più che sufficiente per provvedere o al ristabilimento delle linee o al rifornimento dei generatori di emergenza.
Altre 2.000 barre, la cui radioattività è ormai scesa a livelli sufficientemente bassi, sono state già trasferite in strutture di stoccaggio a secco, mentre 20.000 metri cubi di rifiuti solidi e liquidi a bassa radioattività, risultato delle attività dei reattori di Chernobyl che hanno funzionato fino al 2000, sono stoccate nel compound senza necessità di alcun servizio ausiliario.