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In poche parole e dopo la pubblicità

Divano
ALBERTO OLIVETTIITALIA

Da due settimane, ora per ora, le televisioni riportano le notizie e trasmettono i filmati delle operazioni di guerra in Ucraina. Vediamo le città sotto il fuoco degli attacchi; i caseggiati bombardati; donne, uomini e bambini, il terrore negli occhi, che fuggono o cercano scampo alle bombe in provvisori ricoveri, nei garage sotterranei, nei tunnel della metropolitana. I morti per le strade tra i detriti sull’asfalto e i feriti trasportati con mezzi di fortuna o a braccia. Ospedali esposti ai cannoneggiamenti e presi di mira. Distruzioni e strazi. E i cieli notturni accesi dagli incendi e illuminati dai proiettili traccianti, meteore di rovina. Fiamme sulle fertili campagne ucraine attraversate dai convogli armati. Gli orrori della guerra. Questa guerra europea, combattuta tra europei, irrompe terribile nella sicurezza, nella economia e nella politica dell’Europa. L’Europa, dal Tago agli Urali.
Negli studi televisivi si estende senza posa e tracima un discutere che cresce, accumulando in ordine sparso commenti e giudizi, ipotesi e denunce, riprovazioni ed esaltazioni, progetti strategici e piani tattici. Sollecitano e coordinano, nel preventivo rispetto di tempi rapidi, gli interventi degli abituali ospiti e degli invitati speciali ritenuti adatti alla bisogna, conduttori (e conduttrici) a denominazione d’origine controllata (origine che alcuni – e alcune – evitano opportunamente di confessare).
Sfilano docenti universitari, imprenditori, giornalisti, volti noti; deputati e senatori, governatori, assessori e presidenti. Ed esperti di esperienze diverse, cineasti, testimoni, romanzieri, LGBT+ e, sulla cresta dell’onda, autori noti per confezionare ad orario pubblicazioni da acquistare prima della scadenza degli anniversari e dei centenari che celebrano (il Congresso di Livorno e Pier Paolo Pasolini; Caporetto e Dante Alighieri; le Torri Gemelle e la Marcia su Roma). Ascoltiamo. A dar conto della tragedia che si consuma in questi giorni si susseguono pareri e argomenti disparati, troppo spesso improvvisati. È giusto e doveroso sentire le opinioni e le emozioni. Tuttavia si fa, pare a me, eccessivo tesoro dei giudizi di vincitori e vincitrici di gare di danza; o di chi si sia segnalato partecipando a un festival; o di cuochi (e non ne mancano); o di attori e attrici (ce ne sono, pur se più d’uno negli ultimi tempi recita in politica. Non solo in Italia).
Chi ragiona sulla guerra in Ucraina con cognizione di causa e sa quello che dice è sovrastato e zittito, qualunque opinione esprima. Chi ragiona infastidisce, non si segue. Se poi le sue parole non sono poche è finito.
Ma tant’è. La più parte degli ospiti ha appena pubblicato un libro che va promosso (la promozione della cultura) e, cogliendo l’occasione di un talk sulla guerra in Ucraina, lo mostrano quel manufatto fresco di stampa, il loro nome ben visibile in copertina. Essi ci dicono, ma siano rispettati i tempi televisivi altrimenti da casa non si segue, avvertono i conduttori e le conduttrici, cosa pensano in poche parole dell’Europa e della Cina, della prima guerra mondiale e della seconda e se ora siamo o non siamo in vista della terza. E se l’onore sta nella patria ed il coraggio nella resistenza. In poche parole e dopo la pubblicità. È una breve interruzione (cibo per cani, vacanze di sogno, l’antiruga istantaneo); è anche grazie alla pubblicità che è garantita la libertà di opinione. La libertà che è negata nei regimi autoritari (non si dica nelle dittature) e strenuamente difesa e assicurata dalla democrazia, in Europa e in America. Sono anche invitati a dire la loro i giovani in quanto giovani e i vecchi in quanto vecchi. Quelli perché non c’erano e questi perché c’erano, quando capitò quell’altra guerra. Quale altra guerra? Una delle altre. Se la guerra in corso va confrontata con altre guerre, c’è chi sceglie la Guerra di Spagna, chi quella d’Algeria. Qualcuno evoca la Resistenza. Si citano il Kosovo, l’Irak, l’Afghanistan. Si raccomanda di non dimenticare la Shoah. Ma allora l’onestà intellettuale vuole si ricordino le foibe.
‘In poche parole’ compongono così il sordo rumore che attraversa il fondo delle nostre stanze dalla mattina alla sera.

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