VISIONI

Galina, un po’ ucraina e un po’ russa

Habemus Corpus
MARIANGELA MIANITIucraina/russia

Conosco Galina da circa vent’anni. È talmente femminile e a proprio agio in questa sua natura profonda che la chiamo, scherzando, la Marilyn Monroe dei paesi dell’est. Laureata in ingegneria, nata a Mariupol’ da padre russo e madre ucraina, trasferitasi in Svizzera nel 1999, Galina ha mantenuto legami fortissimi con l’Ucraina e la Russia. Sia di qua che di là ha parenti e amici che sente quasi ogni giorno, quindi sa che cosa prova e vorrebbe la gente, sia di qua che di là. «Hanno paura, hanno paura di stare male, hanno paura della guerra, hanno paura di vedere i figli, i padri e i fratelli combattere, hanno paura di mandarli a morire. Nessuno, né in Russia né in Ucraina, vuole questa guerra. Siamo tutti una famiglia, eravamo tutti sovietici».
Galina ha 55 anni, quindi è cresciuta e ha studiato nell’Urss, ha iniziato a lavorare quando l’Ucraina è diventata indipendente. «Quando c’era l’Urss, all’università gli studenti bravi prendevano uno stipendio, e quando ti laureavi non dovevi ridare nulla allo stato. Le paghe erano basse, ma tutto costava poco, la sanità era gratis e avevi delle sicurezze. Poi, dopo l’indipendenza gli stipendi di insegnanti e laureati sono scesi così tanto che siamo diventati tutti piccoli imprenditori, chi si inventava commerciante, chi vendeva case, chi produceva abiti, o vendeva auto. A volte andava bene, a volte andava male». La trasformazione non è stata solo economica.

«Con l’Unione Sovietica e ci sentivamo una stessa famiglia. Non importava se venivi da Bielorussia, Georgia, Kazakistan, Crimea, Uzbekistan, Azerbaigian non mi sono mai sentita superiore o diversa da chi veniva da un’altra regione. A scuola tutti studiavano il russo e la lingua della repubblica in cui si viveva. Non è vero che la lingua ucraina non è mai stata accettata, non è vero che gli ucraini sono stati sfruttati. Finché c’è stata l’unione Sovietica eravamo tutti uguali, le differenze erano rispettate. Se andavi a Mosca con il costume tipico della tua regione facevano festa, erano contenti di accoglierti». E adesso? «Adesso, le mie amiche in Ucraina sono arrabbiatissime con i russi, ma i russi dicono “Noi non c’entriamo nulla. Noi non vogliamo questa guerra”. Le divisioni sono cominciate con la rivoluzione arancione, nel 2014, e sono arrivate dentro le famiglie, fra gli amici, perché lì è tutto intrecciato, siamo tutti mischiati, tutti hanno parenti di qua e di là. A un certo punto le persone non si capivano più, e si sono rotte tante relazioni.

Ma c’è un’altra cosa di cui la gente in Ucraina adesso ha paura. Hanno dato le armi ai civili. Ma come le useranno? Che cosa faranno se mancano il cibo e l’acqua?
Come si comporteranno con le case abbandonate da chi è fuggito? Siamo sicuri che tutti saranno leali?». Sul potere, e il modo in cui è esercitato, Galina ha le idee chiare. «Io non voglio prendere la parte di Zelensky o di Putin, anche perché adesso vivo lontano, e quando vivi lontano è facile parlare, e fare tanti bla, bla. Però di una cosa sono sicura, quando si arriva a questo punto vuol dire che tutti e due hanno sbagliato qualcosa. A me non importa il colore della bandiera che hai sulla testa, mi importa la vita, la vita conta molto di più di una bandiera. Il mio compagno mi dice “Ah ma allora non sei patriottica”. Se essere patriottica vuol dire prendere in mano un fucile e ammazzare qualcuno, allora dico No, io non voglio questa patria, questa per me non è patria. Le vittime in questa guerra sono due, da una parte gli ucraini, dall’altra i russi che devono andare a combattere contro amici e parenti».

mariangela.mianiti@gmail.com

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