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Il fronte della destra Usa

LUCA CELADAUSA/orlando (florida)

La guerra ucraina complica oltremodo la già labile presidenza Biden in un anno elettorale che promette di essere avverso all’amministrazione in carica. Il presidente, che col dossier ucraino ha una lunga storia, sin da quando ne era incaricato come vice di Obama, veste oggi il ruolo di capo della coalizione occidentale ma è all’atto pratico ridotto a poco più di capo tifo di una formazione con scarsi mezzi concreti per contenere l’avanzata russa. Usa e alleati devono incassare anche l’ignominia della presidenza russa del consiglio di sicurezza Onu dove più ancora del prevedibile veto di questi ultimi, preoccupano Washington le astensioni pesanti di Cina e India all’ultima risoluzione di condanna.
PER GLI AMERICANI il conflitto che passa sulle dirette all-news è lontano anche se meno passibile di rimozione dei precedenti mediorientali. I democratici, compresa l’ala progressista, sono compatti nella condanna all’aggressione di Putin, al di là di pregresse responsabilità occidentali. «Ritengo chiaro che nelle ultime settimane gli Usa e gli alleati della Nato avessero fatto concreti tentativi di riconoscere le preoccupazioni di Putin sulla sicurezza», ha dichiarato Bernie Sanders, nell’auspicare «severe sanzioni».
Più complessa invece è la reazione della destra. La vecchia guardia Gop ha in gran parte ripreso l’antico automatismo del “nemico sovietico” che è tuttora riflesso di generazioni condizionate dai decenni di Guerra fredda, senza badare troppo a distinzioni storiche o ideologiche. Nella pratica questo si è tradotto nel sostegno alle sanzioni pur criticando l’inefficacia e la «debolezza» di Biden nel gestire la crisi, senza evidentemente contribuire con alcuna concreta alternativa e glissando soprattutto sulle ambiguità fatali della affinità che per Putin ha sempre dimostrato Donald Trump. In senso più lato, per i repubblicani la guerra rappresenta una scomoda distrazione dalla campagna coordinata per riconquistare il congresso e paralizzare definitivamente Biden a partire dal prossimo novembre – un programma che stava proprio ora entrando nella fase “operativa”.
IN FLORIDA è in corso questo weekend il congresso Cpac (conservative political action conference), il summit annuale dei conservatori che negli anni 70 fu piattaforma di lancio per Reagan e per la deriva iper neoliberista che ha caratterizzato la destra americana dell’ultimo mezzo secolo. Oggigiorno è appuntamento politico delle forze dell’ultradestra radicalizzate da Trump che ieri (ma dopo questa scrittura) ha arringato i fedelissimi del “Maga”.
L’AMBIGUITÀ dell’ex presidente sulla vicenda ucraina è emblematica di quella di molte destre sovraniste, comprese quelle europee, passibili di un’attrazione fatale per Putin invocato a leader di riferimento di un nazionalismo irriducibile e virtuoso. Come tale il leader neo zarista è stato lodato a ripetizione da Trump (compreso per il riconoscimento dell’indipendenza di Donetsk e Lugansk). Il singolare rapporto Trump-Putin è stato caratterizzato da un’affinità mai del tutto chiara, ma dei due era il presidente russo a sembrare la mente razionale e strategica rispetto all’americano volubile e portato ad imprevedibili escandescenze. Oggi semmai sono le mortifere decisioni di Putin a legittimare domande sull’equilibrio mentale, ed a complicare scomodamente la posizione della destra trumpista che mira al ritorno al potere.
L’ambiguità si è rispecchiata negli interventi dei politici sfilati sul palco del Cpac per posizionarsi come leader anche di una prossima eventuale era post-Trump e che hanno per quanto possibile evitato di citare la crisi ucraina se non per inserirla genericamente nell’elenco dei fallimenti di Biden. Il convegno ha semmai confermato che la geopolitica non è prioritaria per una piattaforma nazional populista tendenzialmente isolazionista e tutta volta ad ingigantire le “culture wars” adatte ad infiammare la base.
AD ORLANDO è dunque andata in scena la nota fiera del rancore e dei reclami che il trumpismo ha elevato a dottrina sostitutiva di programmi politici coerenti. Trump ed i suoi luogotenenti (come Ron De Santis, anfitrione in quello che ha definito il «libero stato della Florida») hanno inveito contro la dittatura sanitaria, le atlete transgender che insidiano le bambine, il crimine che divora il paese incitato da terroristi Black Lives Matter e invitato i «patrioti» a riprendersi il paese dagli «estremisti marxisti» che occupano la Casa bianca. Quasi tutti hanno sottoscritto il falso complotto delle elezioni rubate e attaccato il disfattismo anti patriottico che si annida nei programmi scolastici scritti dall’estrema sinistra (ovvero quelli che prevedono l’insegnamento di genocidio e schiavismo). In questo anticipo della crociata anti moderna contro la società multietnica e multiculturale che caratterizzerà le campagne politiche di autunno l’Ucraina è a malapena figurata.
NON HANNO invece avuto problemi ad invocarla gli oltranzisti riunitisi, sempre ad Orlando, nell’Afpac (America first political action conference) ritenendo troppo moderati Trump ed i suoi. Venerdì sera l’organizzatore, Nick Fuentes, nazionalista bianco e dichiarato antisemita ha elogiato «l’omogeneità etnica» di potenze come Cina e Russia e chiesto l’applauso per l’invasione ucraina mentre la platea, in cui sedevano anche diversi parlamentari in carica, intonava cori di «Putin! Putin!». La dimostrazione delle pericolose frequentazioni rossobrune che venano sempre più la destra americana, sempre più rappresentata anche all’interno del Congresso.
IN QUESTO QUADRO è sempre più vicino a Washington il "convoglio della libertà", un serpentone di Tir e camionisti no-vax modellato sui precursori canadesi che, partito dalla California, ha in programma un «assedio» del discorso State of the Union che Biden farà martedì alle camere riunite al Campidoglio (a poco più di una anno dalla manifestazione trumpista degenerata in tentato golpe). In un comunicato il leader del convoglio ha ritenuto favorevole la congiuntura con la guerra ucraina, dichiarando: «Biden non può combattere su due fronti».

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