INTERNAZIONALE

Troppe divisioni religiose, Santa sede equilibrista. E il papa si offre mediatore

LUCA KOCCIUCRAINA/RUSSIA/VATICANO

Ieri mattina papa Francesco ha lasciato il Vaticano e si è recato alla sede diplomatica russa presso la Santa sede, in via della Conciliazione, per incontrare l’ambasciatore Alexander Avdeev, a cui ha espresso «preoccupazione» per la guerra in corso. Secondo alcune fonti, durante la mezz’ora di colloquio, avrebbe offerto la disponibilità della Santa sede a una mediazione tra le parti.
L’atto è inedito: solitamente sono gli ambasciatori degli Stati a essere convocati e ricevuti in Vaticano. Segno quindi che, oltre la reale preoccupazione del pontefice – che il 2 marzo, inizio della Quaresima per i cattolici, ha invitato credenti e non credenti a unirsi in un grande digiuno per la pace (come per la crisi siriana nel 2013) –, c’è la volontà della Santa sede di mettere in campo il proprio peso diplomatico.
Come aveva fatto anche il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, poche ore dopo l’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina: «C’è ancora tempo per la buona volontà, per il negoziato, per l’esercizio di una saggezza che impedisca il prevalere degli interessi di parte, tuteli le legittime aspirazioni di ognuno e risparmi il mondo dalla follia e dagli orrori della guerra».
LA SANTA SEDE si muove con estremo equilibrio, condannando l’escalation bellica ma senza puntare il dito su nessuno degli attori in campo, compreso Putin, anche perché consapevole di camminare su un terreno minato, visti i complicati rapporti fra le Chiese cristiane dell’area, peraltro fortemente nazionaliste.
A Mosca c’è la Chiesa ortodossa russa, guidata dal patriarca Kirill, che in estate potrebbe incontrare papa Francesco, come ha fatto filtrare qualche giorno fa l’ambasciatore Avdeev. «È con profondo dolore che percepisco la sofferenza del popolo, causata dagli eventi che si stanno verificando, esorto tutte le parti in conflitto a fare tutto il possibile per evitare vittime civili – ha detto Kirill – I popoli russo e ucraino hanno una storia comune secolare, credo che questo aiuterà a superare le divisioni e le contraddizioni sorte e che hanno portato all’attuale conflitto».
A Kiev c’è la Chiesa ortodossa ucraina, anzi due. Una fedele al Patriarcato di Mosca, guidata dal metropolita Onuphry, che però in questa circostanza è schierata con il proprio Paese. «Esprimiamo particolare amore e sostegno per i nostri soldati che stanno di guardia e proteggono e difendono la nostra terra e il nostro popolo, che Dio li benedica e li custodisca!», ha detto Onuphry, che si è rivolto anche a Putin: «La guerra è una ripetizione del peccato di Caino, che uccise il proprio fratello per invidia, non ha scuse, né da parte di Dio, né degli uomini». E un’altra che, soprattutto per le spinte dell’ex presidente Poroshenko, si è separata da Mosca e ha ottenuto l’«autocefalia» – una sorta di indipendenza – con il benestare del Patriarcato di Costantinopoli, guidato da Bartolomeo, che ha duramente condannato «l’invasione russa» («flagrante violazione di qualsiasi nozione di diritto internazionale») ed espresso il proprio sostegno al popolo ucraino, che «sta lottando per l’integrità della propria patria».
A KIEV C’È ANCHE la Chiesa greco-cattolica ucraina, di rito orientale ma in comunione con Roma (per questo detta «uniate»), che appoggia l’iniziativa di Bergoglio: il colloquio tra il papa e Avdeev «rappresenti una spinta perché il dialogo prevalga sulla forza». Una frammentazione e una conflittualità religiosa che sembrano speculari a quelle politiche.

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