COMMENTO

Pochi effetti su Mosca, certo il boomerang sugli europei

Economie e sanzioni
LUIGI PANDOLFIucraina/russia/europa

In attesa delle «sanzioni più dure di sempre» annunciate dall’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell, è possibile una prima valutazione di quelle già deliberate dal Consiglio europeo, la loro insidiosità per la Russia, ma anche il loro prevedibile impatto sull’economia europea ed italiana.
Nel mirino di Bruxelles sono finiti l’accesso di Mosca al mercato dei capitali, l’export di prodotti tecnologici, le importazioni di merci dal Donbass, gli oligarchi e i politici maggiormente coinvolti nella strategia difensiva ed offensiva di Putin e alcune banche. Non c’è il gas, né il sistema internazionale per le transazioni transfrontaliere, conosciuto con l’acronimo Swift. Al rumore mediatico non corrispondono fatti sostanziali?
Diciamo che nemmeno le sanzioni, per adesso, sono al riparo dalla propaganda.
Prendiamo il caso dell’accesso ai mercati finanziari. Attualmente, il debito russo si aggira intorno ai 270 miliardi di dollari (il 17% del Pil). Di questi, però, solo il 25% è costituito da titoli denominati in valuta estera e da prestiti internazionali. Il resto, ben 183 miliardi, sono «debito domestico», nelle mani degli stessi russi. Non solo. Le riserve auree e in valuta della Russia nel 2021 hanno raggiunto la cifra record di 615,6 miliardi di dollari. Nessun rischio di insolvenza, quindi. E comunque, a fronte di una porta che si chiude, può essercene sempre un’altra che si apre.
La Cina, in questo quadro, lascerebbe la Russia a corto di liquidità? No, come non le negherà l’accesso ai suoi prodotti tecnologici. C’è la geopolitica ma c’è anche la convenienza. Più seria è la faccenda del gas. Essendo quella russa un’economia estrattivista, il modo più efficace per colpirla sarebbe quello di bloccare gli ordinativi di gas. Ma a che prezzo per l’Europa? La stessa sospensione dell’iter di certificazione per l'entrata in funzione del gasdotto North Stream 2 annunciata dai tedeschi ha del paradossale. Rinunciare a 55 miliardi di metri cubi aggiuntivi all’anno di gas ad un prezzo inferiore di quello del North Stream1 per lo «shale gas» d’oltre Atlantico? Si sa: gli Usa non hanno mai visto di buon occhio il raddoppio del metanodotto russo. Anche perché oggi possono vantare un enorme surplus di gas (nel 2021 le esportazioni sono cresciute del 40% rispetto al 2019), grazie ai massicci investimenti degli ultimi anni nella fratturazione idraulica delle rocce di scisto presenti nel sottosuolo. Alleati sì, ma con interessi che non coincidono. E che dire della rete Swift? A meno che la Russia non decida di regalarci il suo gas, non si può pretendere di ottenerlo escludendo il fornitore dal sistema internazionale di regolazione dei pagamenti (un sistema alternativo è comunque già in cantiere tra Pechino e Mosca).
La Russia in una botte di ferro, quindi? No, la scelta di Putin espone il paese e la sua economia ad una serie di rischi, che per il momento, però, non sono facilmente calcolabili. Nemmeno facendo dei paragoni con la situazione venutasi a creare dopo i fatti di Crimea. Certamente, chi crede di vedere nel crollo della borsa di Mosca una prima punizione per l’inquilino del Cremlino è totalmente fuori strada. In un mondo finanziariamente interconnesso (le banche italiane, insieme a quelle francesi, sono esposte verso la Russia per 25,3 miliardi dollari), nessuno è al riparo dai guai altrui. O vogliamo dire che il petrolio a 105 dollari al barile e l’aumento del 40% del costo del gas, come la corsa dei prezzi di nickel, grano e mais, non ci riguarda?
Le stesse sanzioni possono rivelarsi un problema per chi le applica. Prendiamo il caso italiano. Non siamo ai primissimi posti nel commercio con la Russia, ma abbiamo dei settori sensibili a ciò che accade nelle relazioni con essa. Le stime più recenti parlano di un interscambio del valore di circa 20 miliardi. A causa delle sanzioni del 2014, il nostro export verso Mosca è crollato del 35%, ma comparti come quello delle calzature e dell’abbigliamento, oppure quello dei mobili e degli elettrodomestici, risentirebbero molto da un deterioramento ulteriore della situazione. E poi ancora il gas. Il nostro Paese ne importa dalla Russia il 43%. Gas che serve, tra l’altro, a produrre il 60% dell’elettricità di cui ha bisogno il Paese. Non è poco: tra commercio, materie prime e caro-bollette, un inasprimento delle sanzioni contro Mosca andrebbe a pesare più sull’Europa e sull’Italia che sugli Stati Uniti. Anche per questo è necessario svestire la divisa dei gendarmi e indossare quella dei costruttori di pace.

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