CULTURA

Un Medioevo letterario di evasione e straniamento

FABRIZIO SCRIVANOITALIA

Tra gli ultimi volumi di «Elements», collana plurilingue di saggi brevi su forme e immagini della modernità (però incline, in qualche caso, a registrare criticamente non vistosi tic della contemporaneità) propone una divertente riflessione sulla costruzione letteraria, principalmente, ma anche filmica del Medioevo negli ultimi decenni del Novecento. Lo firma Salvatore Ritrovato, Antieroi e uomini liberi. Quattro passi tra Medioevo e letteratura (Quodlibet, pp.121, euro 12) e si compone di una doppia coppia di saggi dedicati a due ambiti culturali, ma potremmo dire ugualmente spirituali o di intrattenimento.
IL PRIMO È QUELLO della letteratura giocosa e burlesca, della farsa e del basso materiale, che già prese forma, per la penna di Giulio Cesare Croce nei primi anni del Seicento, nel glorioso tipo del villano Bertoldo e del figlio Bertoldino, miracolosamente ammessi per motivi opposti (uno fino, l’altro sciocco) alla mitica corte veronese del re Alboino: il racconto dell’eroe sgangherato, fortunato e sfortunato, furbo e sprovveduto, vincitore e sconfitto viene collegato alla ridanciana saga Millemosche, inventata da Tonino Guerra e Luigi Malerba, uscita negli anni Sessanta e Settanta.
Il secondo è quello che ruota intorno alle Città invisibili (1972), con il quale Italo Calvino riformula l’immagine di Marco Polo (il mercante veneziano che attraversò le terre del Gran Khan Kublai, ne raggiunse gli estremi e ne divenne ambasciatore, e quindi si affermò in Europa come primo e fortunato narratore geografo, mercé il carcere e Rustichello da Pisa, delle terre d’Oriente) quasi riscrivendo un secondo e diverso Milione.
Il saggio di Ritrovato non vuole certo ristabilire un rapporto storicamente o filologicamente corretto tra le opere antiche e moderne, anche se si prende cura di tracciare scarti ed errori di cui la tradizione è cosparsa. Gli interessano piuttosto i travisamenti e i tradimenti, volontari e casuali, convinto che attraverso di essi sia possibile scrutare in azione il gioco dell’immaginazione, che non ha regole scritte e allo stesso tempo sembra condizionato da leggi che governano i modi della comunicazione contemporanea.
Un aspetto significativo è, tra gli altri, il fatto che in entrambi i casi, pur così diversi, il repertorio medioevale sia servito come porta d’accesso a un clima di evasione e straniamento: da una parte sregolato e folle, disarticolato e abborracciato, quasi associazione (indebita) tra l’epoca medievale e un più generale stato caotico universale: la difficoltà di leggere storicamente il tempo ha spesso creato la tentazione di additarne la responsabilità alle epoche invece che ai nostri difettosi occhialacci.
DEL RESTO, L’OPPORTUNITÀ di giocare su questo equivoco non se l’era lasciata scappare neppure Calvino, quando giustificava il suo Cavaliere inesistente come la capricciosa riunificazione di forze caotiche tipiche del Medioevo e inventava un personaggio incontrollabile come Gurdulù. Questo va sottolineato perché diversamente dalla scorribanda sfrenata messa in scena da Guerra e Malerba, il Marco Polo di Calvino nel rigenerare ordinatamente le visioni di città che incarnano i suoi processi mentali e i suoi ricordi dell’unica città che gli fa da pietra di paragone, Venezia, pare un personaggio al quale nulla sfugge dell’intrigo di esperienza e ricordi o che almeno, rassegnato al fatto che dall’intrigo non si può uscire, cerca di dargli un ordine: un modello di sobrietà e disciplina ma ugualmente evasivo e onirico. In fin dei conti, sotto questo punto di vista, le rievocazioni di certi tratti del Medioevo, prevedibili, pregiudiziali o semplici cliché, sembrano collaborare a percepire le soglie più o meno sgradevoli dell’ordine e del disordine, quasi una cartina tornasole di libertà e obbedienza: un piccolo manuale controverso e divertente per i tempi correnti.

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