CULTURA

Salonicco, la strada interrotta della civiltà

Parla Aristotelis Mentzos, professore emerito di Archeologia bizantina
VALENTINA PORCHEDDUgrecia/salonicco

Qualche settimana fa, si è svolta al Museo dell’Acropoli di Atene – in presenza del premier Mitsotakis e della ministra della cultura Mendoni – la cerimonia per il rimpatrio di un frammento del fregio orientale del Partenone, fin qui conservato al Museo archeologico regionale «Antonino Salinas» di Palermo.
La lastra, raffigurante un piede di Artemide assisa nel consesso delle divinità dell’Olimpo per assistere alla processione panatenaica, è appartenuta alla collezione del pittore e antiquario Robert Fagan – personaggio rocambolesco e dal drammatico destino, che fu console in Sicilia al principio dell’Ottocento. Alla morte del «diplomatico» inglese venne venduta dalla vedova al Regio museo dell’Università di Palermo, da cui il Salinas l’ha ereditata.
In base all’accordo tra i due paesi e alla normativa italiana, il prestito avrà una durata di massimo otto anni. La Grecia invierà in cambio una statua acefala di Atena risalente alla fine del V secolo a.C. e un’anfora in stile geometrico della prima metà dell’VIII secolo a.C.
Mentre gli occhi erano puntati su quella che la propaganda politica non esita a considerare una restituzione definitiva e di buon auspicio per altri attesissimi ritorni, a Salonicco il Consiglio di Stato decretava le infelici sorti del sito archeologico scoperto nel 2012, a 5 metri di profondità, durante i lavori di costruzione della fermata della metropolitana Venizelos: un’area di 1500 mq con stratigrafie databili dal IV al X secolo d.C., in cui si distingue un tratto di strada – il decumanus maximus – lungo 80 mt e fiancheggiato da numerose botteghe.
Il 19 gennaio, il suddetto Consiglio ha infatti respinto l’istanza presentata dalla società civile e da diverse istituzioni, fra le quali spicca l’Associazione degli archeologi greci, per chiedere la sospensione del progetto di smembramento e rimozione delle strutture rinvenute, avallato dal Ministero della cultura e dal Consiglio archeologico centrale (Kas).
Una decisione che lascia interdetti gli archeologi della combattiva associazione, i quali ritengono le operazioni di smontaggio dei monumenti antichi non conformi alla legge. Così come sarebbe illegale il rifiuto, da parte del governo, di adottare a monte la tecnologia no dig dello spingi tubo (anche detta pipe jacking) che – attraverso la trivellazione orizzontale e la successiva infissione di tubi – avrebbe consentito di tutelare le rovine senza rinunciare alla nuova stazione.
Di ciò che sta accadendo a Salonicco, nell’indifferenza di un’Europa che segue con passione il dibattito intorno ai marmi del Partenone custoditi al British Museum ma sembra disinteressarsi del mancato rispetto della Convenzione di Malta del 1992 inerente alla salvaguardia del patrimonio archeologico, abbiamo discusso con Aristotelis Mentzos, professore emerito di Archeologia bizantina all’Università Aristotele di Salonicco.
La rimozione delle vestigia in corso a Venizelos è, per riprendere uno slogan coniato dalla cittadinanza di Salonicco, un crimine. Si potrebbe aggiungere che lo sia anche a discapito della memoria dell’Europa. Sarebbe successo ugualmente se si fosse trattato di rovine di epoca classica o dietro la vittoria della società Attiko metro ci sono soltanto calcoli economici?
In questa vicenda le ragioni ideologiche sono intrinsecamente legate a fattori economici. Da una parte, la conservazione in situ delle antichità scoperte, attuabile tramite la costruzione di un tunnel sotto il livello delle vestigia, non è stata giudicata finanziariamente redditizia. Dall’altra, poiché le emergenze archeologiche non risalgono alla «gloriosa» epoca classica ma si datano alla Tarda antichità e all’Alto Medioevo ovvero all’epoca bizantina, non sono state considerate degne degli elevati costi necessari per preservarle.
Quando in Europa ci si riferisce alla Grecia come alla «culla della civiltà» si pensa soprattutto al patrimonio archeologico, linguistico e letterario della Grecia classica. Eppure anche l’eredità bizantina ha molto a che fare con le nostre radici.
È vero che in Grecia la visione tradizionale del passato, secondo la quale i monumenti e i siti riferibili al periodo greco-romano sono di maggior pregio rispetto ai periodi successivi, è ancora prevalente tra i politici. La civiltà bizantina diventa apprezzabile solo quando messa in relazione con il Cristianesimo e con la Chiesa. Ora, le antichità di Venizelos non hanno legami diretti né con l’uno né con l’altra. Le vestigia riportate alla luce rappresentano la continuità culturale dell’Impero romano sotto la veste dell’Impero cristiano ovvero Bisanzio. Esse illustrano la persistenza dei valori dell’antichità che, attraverso il Medioevo, sono stati consegnati al Rinascimento. In Oriente, questa sequenza che è ben visibile in Italia, è stata interrotta dalla conquista dei territori dell’Impero bizantino da parte degli Ottomani. Le scoperte dell’area di Venizelos sono dunque un’opportunità unica per osservare una testimonianza storica strettamente connessa all’odierna Salonicco. Il tessuto urbano della città antica e di quella contemporanea, infatti, sono molto simili in quanto sotto l’attuale strada commerciale si trovava il quartiere mercantile di età bizantina.
Il progetto di smantellamento prevede che al termine dei lavori per la stazione della metropolitana le vestigia vengano ricollocate nella medesima area di rinvenimento. Tecnicamente si realizzerà un falso.
Ha ragione a sostenere che l’autenticità del sito archeologico sia fortemente compromessa. Occorre inoltre sottolineare che se da un lato sarà quasi impossibile ripristinare i piani relativi a ciascuna struttura messa in luce – cioè i livelli dei pavimenti, delle grondaie, delle fondazioni e delle murature (comprese quelle già restaurate o ricostruite in antico) –, dall’altro è difficilissimo rimuovere e trasferire determinati elementi del complesso archeologico, quali muri in cattivo stato di conservazione, senza che si sgretolino. Gli esempi dell’inclusione di resti monumentali nelle stazioni della metropolitana di Atene – alcune delle quali somigliano a dei cabinets de curiosités – mostrano un utilizzo sbagliato dell’archeologia, slegata dal contesto e trasformata in attrazione turistica. Ma a Salonicco il risultato potrebbe rivelarsi persino peggiore a causa dell’«effetto Frankenstein». Quello che rischiamo è la creazione di una scenografia «mostruosa», in cui però tutte le componenti saranno dichiarate autentiche.
Come studioso impegnato per la difesa del sito archeologico di Venizelos, in che forma ritiene si debba proseguire la battaglia?
Un importante scorcio di storia dell’antica Tessalonica, dopo Costantinopoli la città più splendente dell’Impero romano d’Oriente, sembra destinata a svanire per lasciar posto alla metropolitana. Sia io che l’Associazione degli archeologi greci pensiamo che l’unico modo per salvare le vestigia di Venizelos – e con esse l’onore di un paese che altrimenti verrà giudicato incapace di proteggere il proprio patrimonio – sia quello di abolire la fermata come stazione passeggeri. È dovere di coloro che sono interessati alla salvaguardia del passato continuare a monitorare ogni fase del progetto, al fine di limitare il più possibile i danni.

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