CULTURA

Dentro la lettura e le sue metamorfosi

PORTER ANDERSON - Intervista al direttore della rivista specializzata «Publishing Perspectives»
MARIA TERESA CARBONEITALIA

Nel calendario 2022 dell’editoria la trentanovesima edizione del Seminario della Scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri (in programma stamattina, per la seconda volta online a causa della pandemia) è un’occasione utile per fare il punto su quanto accade nel settore anche fuori dall’Italia, grazie alla presenza di ospiti internazionali, da Doris Janhsen, a capo del gruppo editoriale tedesco Droemer Kraur, a James Daunt, responsabile delle librerie statunitensi Barnes & Noble e delle britanniche Waterstones, a Porter Anderson, direttore della rivista specializzata Publishing Perspectives. Ed è appunto a Anderson che abbiamo rivolto alcune domande alla vigilia dell’incontro di oggi.

Quest’anno il seminario della Scuola Librai si intitola «Il nuovo futuro», ma possiamo davvero prevedere i prossimi cambiamenti nell’editoria?
Inizialmente la tecnologia digitale era vista come una perturbazione negativa, ma oggi grazie a questa dinamica l’editoria è in grado di espandere la sua presenza culturale e di mercato. Il significato vero di «digitale» è la distribuzione, il modo in cui vedi un film sullo smartphone o leggi un libro sul tablet. E durante la pandemia abbiamo avuto una dimostrazione potente di quanto sia importante, dato che le vendite online hanno permesso a diversi segmenti del settore di funzionare anche quando le librerie erano chiuse. E non parlo solo di ebook e audiolibri, ma pure della possibilità di ordinare o ritirare in libreria i libri cartacei. La realtà digitale oggi rafforza i professionisti dell’editoria e dunque i lettori, e la pandemia ha messo in evidenza come ci siano parti del mondo dove questa infrastruttura va sviluppata di più, e presto. Poiché «digitale» significa distribuzione, siamo ora in possesso di una quantità di informazioni grazie alle quali l’industria capisce meglio il suo pubblico. Non abbiamo oracoli, ma l’editoria conta tra le sue fila osservatori bravissimi nel prospettare (preferisco questa parola a «prevedere») i movimenti del settore.

Ritiene, come molti temono, che la pratica della lettura di libri sia sempre meno diffusa tra i giovani?
Al contrario, i giovani leggono più di prima, e questo mi conforta. Semmai mi preoccupa che negli Stati Uniti, dove vivo, secondo un recente rapporto Gallup si sia verificato un calo nella lettura degli adulti. Tradizionalmente, lei ha ragione, gli anziani leggono di più rispetto alle nuove generazioni. Ma almeno negli Usa i lettori oltre i 55 anni sono passati da una media di 16,7 libri l’anno a 12 libri, mentre tra i più giovani il numero di libri letti è rimasto stabile. E a livello internazionale i giovani estendono il concetto di lettura: amano graphic novel e fumetti, sono a loro agio con ebook e audiolibri, ed è evidente che in tanti apprezzano i libri a stampa perché li allontanano dagli schermi così ubiqui nella nostra vita. Inoltre gli editori sono al lavoro per sfruttare al meglio il cosiddetto omnichannel, cioè l’impatto incrociato dei libri con film, tv, musica, giochi e altro, per aiutare in modo creativo i consumatori a cogliere le connessioni tra lo storytelling e i vari media. I giovani sono già abilissimi nel vederle e nel giostrarsi fra loro (magari con l’aiuto del solo cellulare), un altro segno incoraggiante che riconoscono il valore della lettura.

L’audiovisivo è cresciuto esponenzialmente, il tempo passato online pure: quali cambiamenti si prevedono nelle case editrici? Si imporranno i «libri aumentati», quelli cioè che si possono espandere al di là del testo dell’autore?
Sta mettendo il dito su una delle osservazioni più sorprendenti che l’editoria ha fatto nell’ultimo decennio. È vero, l’audiovisivo ha avuto un boom e il tempo online è cresciuto a dismisura, ma da tempo si è capito che i «libri aumentati» non sono popolari come ci si aspettava. Forse dobbiamo toglierci il cappello di fronte alla grande tradizione di Cinecittà e di altri studios vecchi e nuovi e ai leader della produzione cinematografica e televisiva. Gli «schermi», includendo gli streamers, come chiamiamo le nuove centrali di produzione (Netflix, Amazon Prime, Hulu, Hbo Max e altri), sono così bravi che gli editori non devono cercare di imitarli con «effetti speciali» nei libri. La lettura è, dopo tutto, lo scambio forse più intimo che si possa avere tra le idee di un creatore e l’immaginazione di una persona. Leggendo un libro diamo vita nella nostra testa a un mondo, ed è diverso da ciò che avviene guardando un film o una serie tv. A questo proposito c’è un dato curioso riguardo agli audiolibri: molti utenti dicono di preferire la lettura di un «narratore» a un «radioteatro» con molte voci ed effetti speciali. In altre parole, il libro mantiene il suo posto come forma unica per trasmettere una storia. E per l’editoria la strada migliore può essere quella di concentrarsi su ciò che caratterizza la lettura. Gli adattamenti di libri per il cinema, la televisione e altri media saranno meravigliosi, ma quando si tratta di leggere, le persone sembrano voler fare proprio questo: leggere.

Qual è lo spazio per le case editrici indipendenti in un mercato dove i grandi gruppi tendono ad accorparsi?
Constatiamo con piacere che gli editori indipendenti si rafforzano, perché spesso hanno un «vantaggio curatoriale» che manca alle case editrici generaliste. Un grande editore con molti marchi deve servire una quantità di pubblici, mentre un indipendente, specie se ha fondato la sua casa editrice, ha una visione precisa dei libri che vuole pubblicare. Ed è questo carattere a rendere le edizioni indipendenti così importanti per i lettori e a far sì che a volte competano con le majors nei premi letterari. Certo, fusioni e acquisizioni continueranno, ma può capitare che le grandi case comprino la «voce» curatoriale di un indipendente proprio per ottenere quel valore mirato.

Negli ultimi anni la produzione di libri autopubblicati si è moltiplicata. La tendenza è destinata ad accentuarsi?
Il self-publishing è ormai maturo in molti dei più grandi mercati e giovane in altri. Dove i self-publishers sono più bravi, sono supportati da infrastrutture di altissimo livello, come il Kindle Direct Publishing di Amazon e le molte piattaforme di «letteratura online», in particolare in alcune parti dell’Asia. Wattpad, con sede in Canada, ha trovato un posto a sé come canale di narrazione seriale online per un vasto pubblico, offrendo ad alcuni scrittori un percorso verso case editrici più tradizionali, la realizzazione di film e altro. Webtoon, ora una piattaforma sorella di Wattpad con sede in Corea, permette ai creatori di pubblicare i propri fumetti. Tuttavia, mentre è relativamente facile pubblicarsi da sé un libro, non è automatico venderlo. Marketing, pubbliche relazioni, capacità di attirare la copertura dei grandi media, accesso al commercio dei diritti internazionali e alla produzione crossmediale, sono molto più difficili da gestire nel self-publishing. Si è sviluppata, quindi, una sorta di industria parallela della autopubblicazione che a volte può introdurre buoni talenti nell’editoria più tradizionale, ma finora non si è creata quella concorrenza frontale al legacy publishing prevista da alcuni. La buona notizia è che c’è spazio per entrambe le strade e ogni autore deve decidere attentamente la via migliore.

Una parola che ricorre sempre più spesso nelle case editrici è «diversità». Pensa che il fenomeno si consoliderà?
Sì, diversità, uguaglianza e inclusione sono campi cui l’industria editoriale rivolge attenzione e sforzi sempre maggiori. Emergono energie promettenti in questo atteso processo di autoanalisi che coinvolge molte delle migliori persone attive nel settore. Il progresso maggiore è stato fatto finora dalla britannica Publishers Association: lì gli editori hanno elaborato un piano in 10 punti in cui sono fissate le azioni di ogni azienda per creare un posto di lavoro capace di sostenere talenti diversi. Ora nel Regno Unito le dirigenti superano leggermente per numero i colleghi, un risultato notevole per la diversità di genere.
Di base il movimento verso una maggiore diversità (per fattori socio-economici, etnia, genere, orientamento sessuale, rappresentazione generazionale e altro) rivela che per servire al meglio il suo mercato, un’industria editoriale deve riflettere quel mercato nella sua composizione e nella sua forza lavoro. Penso che questo movimento – particolarmente robusto oggi nel mondo delle case editrici universitarie – continuerà e crescerà, e che l’editoria libraria e le nostre vite culturali ne beneficeranno moltissimo.

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