VISIONI

«Il tempo rimasto», viaggio nella storia d’Italia

CRISTINA PICCINOitalia

Quello che l'addolora è pensarsi come l'ultima che ricorda ancora volti, avvenimenti, luoghi, persone destinati a scomparire con lei, e chissà se resterà qualcosa si chiede una delle protagoniste che abbiamo ascoltato insieme alle altre e agli altri fin lì nel nuovo film di Daniele Gaglianone, Il tempo rimasto, presentato allo scorso festival di Torino e ora al cinema (per le città e le sale di programmazione: zalab.org). Un tempo della memoria che è all'origine del progetto più ampio a cui il film rimanda, un Archivio del 900 curato da ZaLab Film per Luce Cinecittà dove sono raccolte le testimonianze delle ultime persone che hanno vissuto prima delle grandi trasformazioni tecnologiche – l'insieme delle interviste integrali di Archivio‘900 sarà presto disponibile sul sito dell’Archivio Luce. Ma che nel lavoro di Gaglianone si fa tempo dell'esistenza e di una storia italiana viva e proiettata nella realtà del nostro presente.
COSA ci raccontano dunque quelle voci? Del tempo della vita, appunto, l'infanzia, le giovinezze, l'amore, la coppia, le felicità, i lutti. Di una durezza che spesso l’accompagna sin da quando sono bimbi, della disparità di classe fortissima prima e dopo la guerra, di un'Italia di miseria e di ricchezza. Delle bambine per le quali studiare era inutile, della guerra, della violenza dei fascisti e dei nazisti, della Resistenza. Dei figli dei poveri che non andavano a scuola nemmeno loro specie se malati - «potevo spaventare gli altri» ricorda uno - e lavoravano sempre: «Se rinasco appena mi affaccio al mondo torno indietro» dice un altro. A ripensare al suo passato, alla fatica deve interrompersi più volte nel racconto, anche se è orgoglioso di quello che è riuscito a fare, i figli li ha fatti studiare tutti nonostante quel destino che sembrava inchiodarlo Si doveva essere forti da poveri per non morire, dice .
C’era anche chi invece era privilegiato, e giocava coi figli dei contadini pure se dormivano con le bestie sempre però con l'attenzione di lavarsi subito bene perché avevano tante malattie. Ai «poveri» - una parola che non si poteva dire - il padre di una donna intervistata elargiva denari quando arrivavano nella residenza di campagna (volendo essere un po' maliziosi si può dire che almeno per quella generazione nonostante le migliorie a guardare le case sullo sfondo le differenze sono sempre uguali).
IL REGISTA - autore anche della sceneggiatura con Stefano Collizzolli - viaggia tra nord e sud, la guerra ci arriva nelle parole di Paola Mazzetti che sente ancora il senso di colpa per essere sopravvissuta al massacro della famiglia che aveva accolto lei e sua sorella Lorenza - i tedeschi li avevano uccisi perché erano ebrei. C’è chi si rivede bimba di dieci anni col lampo del fucile puntato contro di sé, o contro il padre partigiano, da un nazista. E chi piange quando ricorda come è divenuta «orfana di guerra» in un bombardamento che uccise l’intera sua famiglia.
«BANDIERA rossa la trionferà» canta una donna davanti a una foto del 1950 di lei e del suo compagno: ero bella dice con semplicità. Ma poi ha trionfato quella bandiera? «Così cosà». Un'altra oggi ostetrica ricorda che alle lezioni quando il docente parlava di sessualità lei si vergognava e scappava via. Un uomo guida il regista nella casa dove è cresciuto: sei fratelli dormivano nello stesso letto, la sorellina a parte, ma un tetto era già un lusso. Uno ricorda che una volta non fecero entrare un ragazzino in chiesa perché aveva le scarpe erano rotte e lui da allora non ci è andato più. Realtà diverse e storie spesso comuni, conflitti, emozioni: l’anziana maestra di pianoforte è sempre esigente anche se la lezione è «per finta».
Gaglianone ascolta, filma, coglie i dettagli di sguardi, di mani, di gesti, non si sottrae al sentimento ma senza mai alcuna retorica anche davanti a quei momenti in cui i suoi interlocutori si lasciano andare alle lacrime. L'emozione è sempre frutto di regia, delle scelte di messincena, di una materia narrativa dichiarata dalla sua presenza talvolta in campo che affida al cinema il senso intimo di questo «tempo rimasto» di cui è importante sempre riscoprire la necessità.

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