POLITICA

L’ultima di Mattarella aggiusta la Cassazione

Il capo dello Stato guida il plenum del Csm che rimette in carica il primo presidente Curzio, poi saluta e ringrazia per la tempestività
ANDREA FABOZZIITALIA/ROMA

Tra le altre cose, la clamorosa decisione del Consiglio di Stato che sei giorni fa ha annullato la nomina di Pietro Curzio, da un anno e mezzo primo presidente della Corte di Cassazione (e quella della prima presidente aggiunta Margherita Cassano), ha costretto il Consiglio superiore della magistratura a votare ieri mattina su se stesso, per reintegrare cioè un proprio componente di diritto, com’è appunto il primo presidente nell’organo di autogoverno dei magistrati. E di farlo alla presenza del Capo dello stato, che tradizionalmente presiede il plenum nell’occasione di queste nomine. Così ha dovuto fare ieri Sergio Mattarella, sceso al mattino nella sede del Csm - mentre nel 2020 erano saliti sul Colle i consiglieri per una seduta solenne al Quirinale. Curzio, evidentemente, ieri era assente. E Mattarella, chiamato agli straordinari a quattro giorni dalla prima votazione in parlamento per il suo successore, ha molto elegantemente benedetto l’occasione «per fare gli auguri di buon lavoro sotto la presidenza del nuovo capo dello stato». Non solo, pur come al solito non partecipando al voto, ha richiamato i lusinghieri giudizi su Curzio e Cassano che aveva voluto esprimere nel luglio 2020 al Quirinale, risposta pesantissima per il Consiglio di stato. E infine ha ringraziato il Csm per aver rimediato alla situazione con «tempestività», così restituendo alla Cassazione «piena operatività». Del resto non c’erano alternative, visto che oggi proprio Curzio leggerà nell’aula magna della Cassazione la relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario, con Mattarella ad ascoltarlo al centro della prima fila.

PROPRIO LA FRETTA, invece, ha finito per spaccare il Consiglio superiore. E così la nomina di Curzio che nel luglio 2020 era passata praticamente all’unanimità, con la sola eccezione del consigliere laico indicato dalla Lega, Cavanna, ieri è stata approvata dal plenum con 19 sì, tre no - a Cavanna si sono aggiunti Di Matteo e Ardita, i due togati portati in consiglio dalla lista di Piercamilo Davigo che hanno poi tagliato i ponti con l’ex di Mani Pulite - e tre astenuti - i consiglieri togati della corrente moderata Unità per la Costituzione. Esito identico per la (ri)nomina di Cassano, che così torna ad essere la prima giudice donna nella funzione di presidente aggiunta e la candidata più accreditata per prendere il posto di Curzio tra due anni, stabilendo un’altra prima volta. Consiglio di stato permettendo.

Secondo Ardita, l’aver chiuso l’incidente in così pochi giorni denota la «mancanza di una riflessione approfondita e completa». Mentre invece sarebbe stato meglio «evitare, nel metodo prima ancora che nel merito, di dare l’impressione di voler eludere le decisioni del giudice amministrativo». E se il Consiglio di Stato aveva censurato le nomine per carenza di motivazione (motivazioni comparative che sono sempre particolarmente difficili, visto che le carriere di questi alti magistrati brillano tutte solo di encomi), secondo il consigliere Cavanna «i nuovi argomenti proposti dal Consiglio si limitano a riproporre in forma diversa quelli originari». A leggerle, in effetti, le cento pagine delle nuove motivazioni (divise a metà tra Curzio e Cassano) tradiscono lo sforzo. Se è vero che Curzio, per esempio, ha circa la metà degli anni di esperienza in Cassazione rispetto al ricorrente che ha ottenuto la bocciatura della nomina (il giudice Angelo Spirito), per il Csm questo dimostra che proprio la eccezionale rapidità della sua carriera «conferma la completa padronanza delle funzioni di legittimità nella sua massima intensità». Entrambi i consiglieri di Cassazione in competizione sono da tempo presidenti di sezione, Spirito della terza civile e Curzio della sezione lavoro essendolo stato prima della sesta, entrambi vantano ottime performance di smaltimento del lavoro, ma Curzio «ha ottenuto tali risultati in relazione ad una articolazione organizzativa ben più complessa». Sfumature, dunque, dietro le quali si nasconde la difesa che il Csm è costretto a fare delle sue prerogative di autogoverno, di fronte a una giustizia amministrativa che pretende da tempo di avere l’ultima parola sulle nomine. Non è detto che con la riforma - quando arriverà - Cartabia, che tipizza allo stremo i criteri di scelta, le cose in futuro vadano meglio.

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