INTERNAZIONALE

Ucraina, l’Ue senza ruolo, Borrell resta sul carro atlantico

Mister Pesc sul nodo esplosivo dell’ingresso di Kiev nella Nato
LUIGI DE BIASERUSSIA/UCRAINA/EUROPA/BREST

Di fronte alle tensioni che circondano l'Ucraina, un paese in cui da sette anni abbondanti è in corso una guerra civile che ha già fatto più di tredicimila vittime e due milioni di profughi, l'Alto responsabile per la Politica estera europea, Josep Borrell, ha detto ieri a Brest che «non ci saranno negoziati sotto la pressione militare della Russia».
UNA DICHIARAZIONE inattesa e preventiva di impotenza, dal momento che l'Ucraina chiede con forza l'ingresso nella Nato, e la Russia considera l'ipotesi una «linea rossa» per la sicurezza nazionale, una minaccia contrastata sino a questo punto spostando una parte significative delle truppe nella parte meridionale del paese e lasciando intendere di essere disposta, se costretta, anche a un intervento bellico. Insomma, la «pressione militare» di cui Borrell discute è il minimo che possa accadere in una fase come questa, e il complito della diplomazia dovrebbe essere proprio quello di ridurla. Sul punto, però, convergono le principali cancellerie dell'Unione.
Per il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, «se dietro le intenzioni della Russia c'è l'intenzione di tornare a Yalta, l'Europa non lo accetterà»- come tornare a Yalta, quando tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia - tranne la Russia - sono entrati nella Nato? Mentre il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, ha fatto sapere che non ci saranno «compromessi sulla sicurezza europea e sulla stabilità territoriale dell'Ucraina».
A BREST BORRELL ha riunito i responsabili europei di Esteri e Difesa sulla crisi in Ucraina. In teoria Borrell dovrebbe avere un ruolo centrale su quel dossier, se non altro per gli sforzi compiuti dall'Ue a sostegno della rivolta esplosa a Kiev nel 2014 e culminata con la fuga dell’ex presidente Viktor Yanukovich. Nei fatti, tuttavia, è un osservatore o poco più. Non partecipa ai colloqui di Minsk sul conflitto nel Donbass; non è considerato un interlocutore dal Cremlino; ed è costretto oggi alla ricerca di spazio negoziale alle spalle dell’Alleanza atlantica.
Mercoledì era a Bruxelles per il Consiglio Nato-Russia, e in quella sede ha detto che l’Unione «deve raggiungere una posizione comune» nel dialogo con Mosca. Il vertice di ieri serviva proprio a quello. Al momento il risultato appare al di sotto delle aspettative. L’impressione è che Borrell e la sua squadra non riescano a produrre niente di diverso rispetto alle iniziative Nato, che sono iniziative militari e poco o nulla hanno a che fare con la politica o la diplomazia.
ALTRO ELEMENTO per comprendere le difficoltà di Borrell e dell’Europa si trova nelle parole del ministro polacco Zbigniew Rau, secondo il quale «negli ultimi trent’anni l’Europa non è mai stata così vicina a una guerra». Rau è un giurista della generazione Solidarnosc. Ieri ha assunto per conto della Polonia la presidenza dell’Osce. Varsavia è certamente fra le capitali più atlantiste d’Europa, la era con il governo progressista di Donald Tusk, che aveva agli Esteri un falco come Radoslaw Sikorski, la è a maggior ragione adesso con i nazionalisti del partito Diritto e Giustizia, tanto che il numero di soldati americani di stanza nel paese è salito sino a raggiungere a partire dal 2020 le 5.500 unità. Nello stesso periodo l’Alleanza ha visto crescere il ruolo della Polonia nel cosiddetto «fianco orientale», ovvero il lungo confine con la Russia.
Ne sono esempio il sostegno alle rivolte del 2010 e del 2014 in Ucraina, quello alle proteste in Bielorussia contro il presidente Lukashenko, e, per ultimo, lo scontro sempre con Lukashenko nella tragica crisi migratoria a fine anno.Più la Polonia ha conquistato terreno negli equilibri della Nato, più ne ha perso verso l’Ue in tema di indipendenza delle istituzioni, di diritti sociali e persino di diritti umani. Lo dimostrano le relazioni tese con l’Ue. Oggi le parole di Rau non sono affatto una buona notizia per Borrell. Dal canto suo Vladimir Putin non ha alcuna intenzione di rinunciare alle sue prerogative sulla sicurezza nazionale.
NEL GIRO DI POCHE ORE i diplomatici russi prima hanno fatto sapere che il negoziato sull'Ucraina si trova a un «punto morto», poi hanno aperto all'invio di truppe a Cuba e in Venezuela. «Tutto dipenderà dall'atteggiamento delle controparti, a cominciare dagli Stati Uniti», ha detto il viceministro degli Esteri Sergey Ryabkov, che ha guidato i colloqui con la Nato a Ginevra. Il confronto rischia ora di assumere una ulteriore dimensione.

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