POLITICA

Bonus bebè anche agli stranieri extracomunitari

LA CONSULTA BOCCIA LA NORMA CHE LI ESCLUDE: «INCOSTITUZIONALE»
MARIO PIERRO ITALIA/ROMA

La Corte costituzionale ha giudicato ieri incostituzionale il requisito che esclude dal bonus bebè e dall’assegno di maternità i cittadini stranieri extracomunitari a condizione che abbiano un permesso di soggiorno superiore ai sei mesi che permette di lavorare in Italia. Per ora questo resta un «premio» riservato alle persone con la cittadinanza italiana e comunitaria e solo a una limitata categoria di stranieri extracomunitari residenti in Italia: i titolari del permesso per soggiornanti Ue di lungo periodo. Il limite discriminante è stato posto dalla legge 190 del 2014 sul bonus bebè e dal decreto legislativo 151 del 2001 sull’assegno di maternità. La norma è stata applicata anche nella recente normativa per il cosiddetto «assegno unico universale per i figli» che da marzo del 2022 assorbirà le varie misure per le famiglie con i figli a carico, a partire dal bonus bebè, appunto.
Tanto «universale», dunque, non è la misura sbandierata dalla maggioranza Frankenstein che regge il governo Draghi al punto da incassare la bocciatura di costituzionalità. Senza contare altre misure analoghe adottate nell’agonizzante legislatura giunta alla strozzatura del voto per il Quirinale. Parliamo della norma razzista inserita dal governo pentaleghista Conte 1» in quella truffa semantica chiamata «reddito di cittadinanza»: l’esclusione dal beneficio di tutti i cittadini extracomunitari residenti da meno di 10 anni in Italia. In nessun paese che ha adottato le equivoche e pericolose misure di Workfare esiste uno sbarramento così alto. La commissione di valutazione sul «reddito di cittadinanza» guidata da Chiara Saraceno, e nominata dal ministro del lavoro Andrea Orlando, ha chiesto perlomeno di dimezzarlo. Inutilmente. La sentenza della Consulta deve essere ancora depositata. Ieri però è stato anticipato che la Corte ha ritenuto le attuali disposizioni in contrasto con gli articoli 3 e 31 della Costituzione e con l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.
A cadere sono in particolare le norme che escludono dalla concessione dei due assegni i cittadini di paesi terzi ammessi a fini lavorativi e quelli ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno di durata superiore a sei mesi. Era stata la Cassazione a sollevare i dubbi sulla legittimità della condizione posta per ricevere la sovvenzione per i nuovi nati -che oscilla tra 80 euro e 160 euro al mese per un anno in caso di primo figlio, a seconda dell’Isee- e l’assegno di maternità. E a sostenere che fosse lesiva del principio di eguaglianza e della tutela della maternità.
Prima di decidere la Consulta aveva posto, con un’ordinanza di rinvio pregiudiziale, due quesiti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, che il 2 settembre scorso si è pronunciata in maniera chiara: la normativa italiana non è compatibile né con l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, che prevede il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale, né con l’articolo 12 della direttiva europea 98 del 2011 sulla parità di trattamento tra cittadini di Paesi terzi e cittadini degli Stati membri.
m.p.

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