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Boric, la speranza di una democrazia non autoritaria

ROBERTO LIVICILE/AMERICA LATINA

Il trionfo di Gabriel Boric, il giovane candidato progressista nelle presidenziali cilene, fa sperare nell'inizio di una nueva ola della sinistra democratica in America latina dopo quella che aveva tinto di rosa gran parte del subcontinente all'inizio del secolo.

Il ritorno di Lula alla presidenza del Brasile il prossimo anno, come pure la possibile elezione a presidente della Colombia, sempre il prossimo anno, del leader della sinistra Gustavo Petro, sarebbero la conferma di un risorgere del progressismo latinoamericano.
Una situazione questa auspicata da Cuba per rompere l’assedio inaspettatamente aggressivo e asfissiante dell’amministrazione Biden, in una fase critica di nuove riforme economiche e sociali che garantiscano la sopravvivenza del governo socialista. Nella vittoria di Boric ha contato, certo, il fattore paura di un possibile ritorno del fascismo e del «pinochetismo» auspicato dal suo avversario Kast. Ma ancor di più la speranza che con la presidenza dell’ex leader studentesco si metteranno in marcia i cambiamenti che la società cilena chiede con urgenza per mettere fine alla vera opera del generale Pinochet: la società neoliberista.
La chiara richiesta della base è che bisogna recuperare la radicalità del messaggio lanciato dagli studenti che iniziarono le manifestazioni nel 2019, poi sfociate nella rivolta sociale: «Non sono i 30 pesos (aumento della tariffa della metro allora decisa dal governo ), sono i 30 anni di «pinochetismo» che bisogna sconfiggere».
Il «pinochetismo» non è una dottrina politica. Il generale Pinochet, brutale e fellone, non aveva tali capacità. Però - con il consiglio non certo disinteressato di Washington- si avvalse della collaborazione di «intellettuali» , i Chicago boys allievi di Milton Friedman per l’economia e personaggi come Jaime Guzman per la politica, che insieme disegnarono un nuovo tipo di regime politico liberista, autoritario e depredatorio. La cosidetta Democracia protegida, mantenuta anche dai governi della Concertación por la Democracia, dopo il «ritiro» di Pinochet (Alwin, 1990-94; Frei, 1994-2000: Lagos, 2000-2006; Bachelet, 2006-2010) e rafforzata dai governi di destra di Sebastián Piñera, l’attuale presidente fino a marzo del prossimo anno. E presentata come un modello di democrazia efficace per tutta l’America latina.
L’elezione presidenziale di domenica scorsa e quelle politiche avvenute a novembre - lo ha ribadito Boric - dovranno essere le ultime avvenute in regime di democrazia protetta.
Non è certo un obiettivo dato per scontato.
Le elezioni parlamentari hanno prodotto una distribuzione di forze in Parlamento (Camera e Senato) che si traduce in un empate catastrofico, tra i gruppi di destra e quelli di centro-sinistra. Fino a quando non si cambi l’attuale Costituzione (eredità del regime di Pinochet anche dopo la parziale riforma del 2005) si mantiene il quorum dei due terzi che nei fatti dà alla destra un «potere di veto» capace di imbrigliare le forze del cambiamento.
Una situazione di «impasse catastrofico» esiste, secondo analisti locali, anche in Perù dove il presidente Pedro Castillo, non avendo un «suo» partito , è costretto a estenuanti trattative e a veri e propri voltafaccia. In questo caso, a differenza del futuro governo di Boric, il blocco catastrofico è dovuto soprattutto alle divisioni interne alla destra peruviana incapace - dopo il fallimento della corrotta Keiko Fujimori- di esprimere un leader che rappresenti tale schieramento e abbia una credibilità nei confronti di ampi strati della popolazione.
In Cile, al contrario, oggi l’iniziativa è nel campo di Apruebo Dignidad, frutto di una grande mobilitazione popolare. Il «partito» di Boric, l’alleanza tra il Frente Amplio e il Partito comunista, conta con un’importante sponda istituzionale, la Convenzione Costituzionale, i cui 155 membri, eletti lo scorso maggio con il compito di redigere una nuova Charta Magna, sono in gran parte l’espressione di settori indipendenti (dai partiti tradizionali) formatisi, specialmente quelli della Lista del Pueblo, nelle lotte popolari.
Per rompere l’empate catastrofico si profilano due strade, la mobilitazione sociale attiva delle forze che hanno portato all’elezione di Boric e trasformare/utilizzare la Convenzione Costituzionale come uno strumento politico efficace per uno storico cambiamento politico.
Dunque è importante vedere come il nuovo presidente eletto si muoverà prima del prossimo marzo, quando si insedierà al potere e formerà il nuovo governo. La destra pinochetista, un’oligarchia autoritaria e neoliberista, mantiene una solida base, circa il 26% della popolazione, e ha un chiaro orientamento antidemocratico, specie nella cosiddetta famiglia militare. Boric sarà dunque obbligato - e già lo prevede - a una politica «inclusiva» di trattative con le forze di centro (Dc, Partito radicale, Por la Democracia..).
Ma l’esperienza della cosiddetta prima ondata di sinistra dell’America latina, quella che all’inizio del secolo ha portato al governo forze di sinistra o progressiste in Venezuela, Ecuador, Bolivia, Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, ha dimostrato che se non si pongono le basi per una destrutturazione della società neoliberista (avvenuta solo nel Venezuela di Chavez e in parte nella Bolivia di Evo Morales) la destra - con l’appoggio degli Stati Uniti - mantiene una forte capacità per riprendere il governo. O mediante elezioni, come in Argentina (presidente Macri) e Uruguay, o con la forza, il lawfare in Brasile e Paraguay e il golpe in Bolivia.

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