CULTURA

L’Irlanda di Thomas Kinsella, poeta della perdita senza rassegnazione

ENRICO TERRINONIIRLANDA/DUBLINO

«Eroe liberatore. È questo anche / il guerriero che ha segnato il Fato / che sottomette / ogni nemico nel ‘mondo conosciuto’ / finché gli elementi non si rivelano». Sono versi famosi, struggenti e armati di contrasti, scritti da un poeta tra i più importanti che l’Irlanda abbia generato, Thomas Kinsella, morto mercoledì a Dublino a 93 anni.
FIGLIO DI UN SOCIALISTA di lungo corso, Kinsella mantenne lungamente un profilo sfaccettato: quello di impiegato pubblico, di editore e di poeta la cui produzione sarebbe ben presto finita anche sui libri di scuola. Giudicato da subito, a partire dalla raccolta Another September (1958) tra i poeti più ambiziosi della sua generazione, Kinsella cantò l’accettazione stoica del fatto che è il senso di perdita a guidare i percorsi di ogni esistenza, ma non con rassegnazionie.
Questa tensione atavica diviene lampante nei suoi scritti critici. Nel saggio The Dual Tradition del 1995, ad esempio, che si occupa di poesia e della sua relazione con la politica, Kinsella parte dal dato di fatto che in Irlanda coesistano due lingue: una del giorno, l’inglese, e una della notte, direbbe Barry McRea, l’irlandese. Ne consegue che bisogna accettare un «approccio duale» e una presa di coscienza che la mentalità irlandese vive di dualismo. Un dualismo che nasce dagli albori della sua storia fino ad arrivare alla poesia del Novecento in grado di cimentarsi anche con operazioni di scavo e di recupero del passato.
Già nella poesia aNightwalker», inclusa in Nightwalker and other poems del 1967, Kinsella proponeva una notturna lamentazione sul rapporto tra passato e presente in Irlanda, accennando a quella che fu la quasi distruzione della lingua irlandese. L’irlandese resta una lingua della mente mai davvero morta: sopravvive nei recessi della coscienza, negli angoli bui e ombrosi del vissuto.
È ANCHE GRAZIE ALLA POESIA e alle riflessioni critiche di Thomas Kinsella se oggi possediamo una più corretta visione di questa «differenza» irlandese: del fatto, ovvero, che l’inconscio collettivo di quel popolo si muova costantemente su due binari paralleli. È su questa dualità che si basa anche gran parte della politica irlandese del Novecento, incluse le battaglie del Nord.
Kinsella fu un poeta dell’inconscio, che scavava nell’ombra dell’io. Non a caso viene accomunato a Carl Gustav Jung anche nel suo eleggere a forza fondatrice e di resistenza, interiore ed esterna, una inclinazione a vedere nei contrasti un tentativo di recuperare l’esistenza nella sua totalità, un ordine nel disordine. Un tentativo evidente nei pamphlet e negli scritti poetico-critici. Esemplare Blood and Family del 1988, che include i famosi «Canti della mente», assieme a un lungo poema in cui vanno a braccetto la violenza e la musica (Kinsella fu grande amico del compositore irlandese per eccellenza, Sean O’Riada), e a scritti che si muovono dalla storia familiare per vederla poi riflessa in quella della società.
KINSELLA LASCIA dietro di sé una società ancora attraversata da conflitti. Conflitti insanabili forse, proprio perché sono il motore segreto di ogni evento, di ogni passo avanti, come di tanti passi indietro. E lascia il ritratto sincero di una comunità locale, quella della zona di Inchicore a Dublino, luogo familiare e del cuore.
Il Presidente Irlandese, il poeta Michael D. Higgins, nel ricordarlo, porta alla mente la sua ultima uscita pubblica, del 2019, quando andò in visita alla scuola elementare che aveva frequentato tanti decenni prima. Segno di un legame tra passato e presente, all’insegna di una continuità che non può se non nascere da profondi contrasti e attriti. Contrasti e attriti che sono la base della riconciliazione, come anche del conflitto perenne.

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