COMMENTO

La crisi del 2021 indica una ripresa sbilanciata

Economia
VINCENZO COMITOITALIA

Le previsioni indicano il 2022 come l’anno dell’incertezza legata a molti fattori: andamento del covid; crescita dell’inflazione; sviluppi dell’economia cinese; importanti variabili politiche.
Per l’anno invece appena trascorso si potrebbe parlare, come fa il Financial Times del 30 dicembre, di «ripresa sbilanciata». Noi aggiungiamo che, insieme ad altre cose anche molto importanti, esso ha anche segnato nel mondo una tappa cruciale per il mondo del lavoro. Per quanto riguarda il primo tema, i risultati economici a livello globale sono stati superiori alle attese; si pensava all’inizio ad una crescita del Pil pari al 4,2% e si è invece arrivati al 5,9%. Ma vanno registrate grandi differenziazioni: quelle tra i paesi ricchi e quelli poveri, tra le classi agiate e quelle meno fortunate, tra l’industria e i servizi - e tra i vari comparti degli stessi - nonché quelle relative all’importanza dei sostegni all’economia e dei livelli di vaccinazione tra le aree economiche.
Così negli Usa la crescita del Pil nel 2021 è stata del 5,6%, nell’eurozona del 5,2%, in Cina e in India intorno all’8%. Ma in molti paesi dell’Africa e dell’Asia le cifre appaiono meno brillanti (ad esempio per Indonesia, Pakistan, Egitto, Arabia Saudita e area sub-sahariana con qualche eccezione), mentre più positivo appare il quadro in America Latina, difficile per altri versi.
Negli ultimi decenni, mentre crescevano le diseguaglianze all’interno dei singoli paesi, quelle tra paesi ricchi ed emergenti si riducevano costantemente; ma con lo scoppio del virus stiamo assistendo ad una nuova divaricazione.
Le Borse hanno chiuso l’anno per la terza volta di seguito con una forte crescita. L’aumento è stato particolarmente forte negli Stati Uniti. Le imprese del big tech hanno avuto risultati stellari, mentre molti settori industriali più tradizionali e molti di quelli dei servizi hanno invece sofferto anche pesantemente.
Ma le borse cinesi hanno registrato un -5%, anche se per cause “nobili”, quali in particolare la dura stretta sui comportamenti perversi dei grandi gruppi internet e di altri settori. Ma questo sul mercato non paga di certo.
Il valore di Apple ha raggiunto la cifra di 2.900 miliardi di dollari e quello di Microsoft di 2.500, valori ben al di là del Pil italiano. Ma non si tratta alla fine di un dato molto positivo; in particolare in Occidente, nonostante un gran parlare, non è stato certamente l’anno della riforma dei grandi gruppi digitali, sempre più minacciosi.
Il patrimonio delle 500 persone più ricche del pianeta è aumentato di 1000 miliardi di dollari, ma anche il numero dei poveri, compresi nella conta i paesi sviluppati, è cresciuto fortemente. Così, ad esempio, lo Sri Lanka sta soffrendo di una grave crisi umanitaria e finanziaria, tra l’altro con mezzo milione di nuovi poveri e con molte famiglie costrette a ridurre gli acquisti di cibo.
Intanto alla fine del 2021 la percentuale delle persone vaccinate con due dosi, come ci informa ancora il Financial Times, ha raggiunto il 70% nei paesi ricchi e il 4% in quelli poveri. Ma Cuba e gli Emirati sono oltre il 90%.
Sul fronte del le trasformazioni del lavoro, si possono segnalare almeno tre tendenze, legate tra di loro. Intanto ha continuato ad estendersi la spinta alla sua uberizzazione, nonostante molti tribunali nel mondo abbiano cercato di contrastarla e mentre solo pochissimi paesi, dalla Spagna alla Cina, stanno tentando di mettere qualche freno. Più in generale, in particolare in Europa, quasi nessuno si è preoccupato di migliorare le regressive leggi sul lavoro in essere. Figuriamoci l’Italia.
Un’altra tendenza rilevante del 2021 è stata la fuga dall’occupazione. Nel mese di luglio ed agosto oltre 8,3 milioni di persone hanno lasciato il posto negli Usa e ancora più di 4,2 milioni in ottobre e di 4,5 in novembre. Il processo si è esteso anche all’ Europa e molti giornali italiani appaiono preoccupati.
La tendenza è più rilevante nei settori più disagiati e con salari più ridotti. Oltre alle motivazioni economiche, sembrano trasparire i problemi di ambienti di lavoro stressanti, di esaurimento fisico ed emotivo delle persone, della ricerca di una gestione più autonoma del proprio tempo. Si sta forse, come conseguenza, modificando il rapporto tra capitale e lavoro a favore di quest’ultimo, o si tratta di un processo di breve durata, cui, tra l’altro, il capitale risponderà con una nuova spinta alla globalizzazione, all’automazione, già in forte crescita, allo sviluppo del lavoro flessibile?
Quest’ultimo fenomeno è comunque in forte aumento. Così negli Stati Uniti mentre prima della pandemia ne usufruiva solo il 5% della forza lavoro, nel 2021 siamo arrivati al 40%. E l’Europa non è da meno.
Ma si può affermare che, lasciato libero di svilupparsi organicamente, lo smart working tenderà nel complesso ad aumentare le differenziazioni esistenti, non certo a ridurle, a impoverire la qualità del lavoro, a spingere ancora sulle delocalizzazioni.

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