VISIONI

Un’altra chance per Neo e Trinity nell’impossibile melò hi-tech

Al centro del nuovo capitolo le facce della finzione tra realtà e videogiochi
GIONA A. NAZZAROUSA

A più di vent’anni dal capostipite, film che ha riscritto completamente le leggi del cinema d’azione statunitense, Lana Wachowski, senza l’ausilio della sorella Lily, ritorna all’universo di Matrix, conferendo così un nuovo significato all’enigmatica chiusa di Revolutions del 2003. Il nuovo film parte dal presupposto che dal mondo concentrazionario delle macchine non è uscito nessuno.
TANTO MENO Thomas Anderson, ossia Neo (Keanu Reeves), ormai creatore di videogiochi, autore della celebrata trilogia Matrix. La premessa narrativa è intrigante, e per coloro che sanno poco di codici, computer e in generale di cyberpunk si presenta immediatamente come tremendamente nerdy e intelligentemente meta testuale. Anderson/Neo opera con una simulazione modal, ossia una programming sandbox (un ambiente che isola codici non testati), per sviluppare i suoi personaggi videoludici. Bugs (Jessica Henwick), alla guida di un manipolo di resistenti, si rende conto che il modal utilizza in costante loop un vecchio codice che ricrea scene della vita di Neo (viste nei tre film precedenti).
A complicare ulteriormente la situazione, il Mr. Smith della trilogia, interpretato da Hugo Weaving, ora è incarnato da Jonathan Groff, ed è il socio di Neo nell’azienda che si è arricchita con il videogioco Matrix. Smith, comunica che la Warner Bros (sic) vuole un quarto episodio del gioco mentre Neo inizia a ricevere strane interferenze verdi sul suo schermo (occhio alla scritta Binary…).
NEO è recalcitrante, ma il suo analista (un Neil Patrick Harris sornione) lo tiene sotto controllo con una dieta costante di pillole blu (quelle che rafforzano l’illusione della realtà voluta dalla matrice). Ogni mattina Neo incontra Trinity, una Carrie Ann-Moss che ammirevolmente non fa nulla per celare gli anni trascorsi (il cui marito è interpretato da Chad Stahelski, stuntman, regista e deus ex machina della serie John Wick). Oscillando costantemente fra due opposti principi d’individuazione, Neo si ritrova a dovere conquistare nuovamente la sua storia.
LANA WACHOWSKI, con grande ironia, mette a nudo il meccanismo industriale che ha creato la domanda di un quarto episodio di Matrix, e costruisce la progressione del film come se si trattasse di un romanzo di formazione alla fine del quale il premio per l’eroe è sottrarsi alle leggi della riproduzione infinita dell’identico. In questo senso Matrix Resurrections è l’ennesima conferma che il cinema statunitense attuale utilizza come veicolo per idee non convenzionali i cosiddetti Blockbuster, approfittando del conforto del marchio per destabilizzare idee acquisite attraverso quella che potremmo definire decostruzione di massa. Rispetto a vent’anni fa, la diffusione delle tecnologie domestiche ha provocato sia una maggiore consapevolezza che una sensibilità meta testuale febbricitante.
MOTIVO per cui Lana Wachowski evita accuratamente di giocare con i rimandi interni alla saga se non per evidenziare la domanda industriale che ha determinato l’esistenza del film. Come discorso sull’industria culturale contemporanea, Matrix Resurrections è senz’altro il punto più avanzato cui un film di questo tipo di budget possa spingersi (proprio come il Dune di Villeneuve è una trasposizione nell’universo di Herbert dei nuovi equilibri geopolitici). Lo spazio del cinema fantastico diventa così il luogo nel quale l’industria hollywoodiana riflette se stessa, un luogo nel quale articolare discorsi non necessariamente consensuali. Lana Wachowski spinge molto avanti questa tensione autoironica ma non al punto di sfociare nel cinismo.
«MATRIX RESURRECTIONS» è infatti soprattutto un melò impossibile, nel quale Neo e Trinity si ricongiungono solo dopo avere attraversato le molte facce della finzione e delle realtà alternative possibili. E nonostante i moltissimi momenti memorabili di pura composizione coreografica, il film resta impresso negli occhi per la commozione schietta con la quale la regia orchestra il ritrovarsi dei due protagonisti e per il momento infinito quando le loro sagome nere si stagliano controluce nel vuoto sullo sfondo di un tramonto abbagliante prima spiccare il volo per sempre.

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