COMMUNITY

Trump si ricandida, e Joe Biden no. L’allarme di Hillary

Democrazia Usa
GUIDO MOLTEDOUSA

Di nuovo Trump? Di nuovo lui, presidente degli Stati Uniti? Sicuramente ci proverà, a farsi rieleggere nel 2024, scommette Hillary Clinton, intervistata da Willie Geist della Nbc. E dovesse riuscirci, «potrebbe essere la fine della democrazia americana». Rare sono le sortite della candidata democratica sconfitta da Donald Trump nel 2016. Queste sue parole pesano, parole meditate, scandite. Un grido d’allarme da prendere molto sul serio, mentre le ultime rivelazioni sul tentativo di colpo di stato del 6 gennaio 2021 rafforzano il quadro di una prova di forza che chiama in causa, come primo responsabile e mandante, proprio l’allora comandante-in-capo asserragliato nello studio ovale, nelle ore in cui il Congresso era preso d’assalto e persino membri influenti della cerchia ristretta - il figlio Donald jr, i conduttori di Fox News, Laura Ingraham, Brian Kilmeade e Sean Hannity - tempestavano di messaggi il suo capo di gabinetto, Mark Meadows, perché convincesse Trump a intervenire pubblicamente per fermare i suoi sostenitori. Cosa che fece solo dopo l’evidente fallimento del golpe.
L’assurdo, e l’inquietante, mentre s’avvicina la ricorrenza del tragico 6 gennaio, è che il presidente sovversivo è ancora ben saldo al vertice del Partito repubblicano e della galassia delle formazioni suprematiste, ed è alla testa, senza rivali, senza defezioni, dell’operazione già in corso per la riconquista della Casa Bianca.
Mentre nel frattempo il presidente legittimo, Joe Biden, vacilla nel suo stesso partito, non controlla i gruppi parlamentari, affonda nei sondaggi, una situazione che prefigura uno scenario elettorale, nel 2024, in cui a competere, in una possibile sfida con Trump, potrebbe non essere lui, e neppure la sua vice, Kamala Harris. Formalmente, che debba essere lui, il presidente in carica, come da tradizione, il candidato democratico del 2024, è Biden stesso a dirlo e a ripeterlo. Ma con quanta convinzione, sua e dei maggiorenti del suo partito? Strano il fatto stesso che debba affermarlo mentre è ancora lontano il giro di boa del primo biennio presidenziale.
Fatto sta che il New York Times ha aperto le danze della successione, facendo sapere che nel Partito democratico già si affilano i coltelli, e proprio quelli che li affilano ovviamente si premurano di premettere con apparente convinzione che sarà Biden il candidato nel 2024 e che avrà il loro pieno sostegno. Scrive il Nyt: «Con Biden che crolla nei sondaggi e che compirà 82 anni nel mese delle elezioni in cui sarà candidato , e con Kamala Harris, afflitta anche lei da numeri negativi, i discorsi su possibili alternative sono iniziati molto prima di quanto non sia consuetudine per un presidente ancora nel primo anni del suo primo mandato».
A rendere nervoso l’arcipelago dei potentati democratici non è solo la vulnerabilità di una nuova candidatura di Biden, o di Harris, ma anche l’incapacità di fare da traino per i candidati al Congresso e nelle elezioni locali. Il politologo Sidney Blumenthal sottolinea come «diversamente dalla maggior parte delle elezioni presidenziali, nelle quali il vincitore porta nel Congresso più membri del suo partito, i democratici persero 15 seggi alla Camera nel 2020. Di conseguenza, la maggioranza si fa precaria, e far passare qualsiasi iniziativa legislativa richiede che le diverse fazioni mantengano l’unità». Peggio al senato dove democratici e repubblicani sono alla pari, 50-50, e dove è dirimente il voto di Kamala Harris, presidente formale dell’aula, ma dove basta un paio di senatori della tua parte, ma ostili, per fermare l’iter di una legge. Una situazione che, come dice Biden stesso, «quando sei al senato degli Stati Uniti e hai 50 democratici, ognuno di loro è il presidente». Un partito ingovernabile, nel momento in cui la Casa bianca è impegnata nel più imponente piano di misure sociali ed economiche dai tempi della Grande società di Johnson. E se un'amministrazione non riesce a trovare sostegno nell’opinione pubblica neppure potendo agire su leve economiche come nessun’altra amministrazione prima, si comprende l’allarme rosso di una politica d’esperienza come Madam Secretary.
Sullo sfondo la crescente, arrogante spregiudicatezza dei repubblicani nell’intervenire sulle regole del gioco elettorale, per impedire la partecipazione delle minoranze e manipolare eventuali risultati negativi, cambiando norme negli Stati da loro controllati, eliminando ogni possibile resistenza (come quelle che incontrò Trump pure negli Stati di governatori amici prima del tentativo di golpe) a forzature e a vere truffe elettorali.
C’è molto Freud nei retropensieri del presidente che convoca 110 paesi per il Summit for Democracy, lo smarrimento della bussola democratica con l’idea di riprenderla in mano, proponendosi ancora come la guida del mondo democratico, quando sono gli stessi massimi dirigenti del paese a dubitarne e a temere di far la fine di uno Stato canaglia, uno di quelli esclusi dalla lista degli invitati al Summit.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it