SOCIETA

Crisi con Minsk, stretta della Ue sul diritto di asilo

Polonia, Lituania e Lettonia potranno agire con più flessibilità su richieste di protezione e rimpatri. Centri per migranti ai confini
CARLO LANIApolonia/bielorussia

Il vicepresidente della Commissione Ue Margaritis Schinas le definisce «misure eccezionali per rispondere a circostanze eccezionali». E sarà anche vero, come si affretta a rassicurare la commissaria agli Affari interni Ylva Johannson, che l’Ue «non sta legalizzando i respingimenti» e che «i diritti fondamentali dei migranti non sono stati toccati». Fatto sta che il pacchetto di proposte avanzato ieri a Bruxelles per fronteggiare la crisi in corso ormai da mesi al confine tra Polonia e Bielorussia, e che coinvolge anche Lituania e Lettonia, rappresenta l’ennesimo giro di vite nei confronti di chi cerca disperatamente di arrivare in Europa. E potrebbe essere solo un anticipo delle modifiche richieste da vari Stati - seppure con motivazioni diverse - al Patto su immigrazione asilo presentato a settembre di un anno fa dalla Commissione Ue e rimaste finora al palo. «Non ci sarà mai un momento migliore per raggiungere un accordo sul patto», ha ammesso ieri lo stesso Schinas. Anche in vista di un’altra revisione, quella del codice Schengen nella quale, sull’onda di quanto accade ai confini orientali, verrà inserita la definizione di «attacco ibrido».
Le misure speciali messe a punto dalla Commissione - e che dovranno essere votate dal Consiglio - resteranno in vigore per sei mesi, salvo proroghe, e saranno valide solo per Polonia, Lituania e Lettonia, Paesi ai quali vien riconosciuta maggiore «flessibilità» nella gestione dei rimpatri dei migranti e delle richieste di asilo. In pratica una sospensione delle normative vigenti. In particolare è prevista l’estensione del periodo di registrazione delle richieste di asilo, che passa dagli attuali 3-10 giorni a quattro settimane. Apparentemente positiva, le misura rappresenta invece un ulteriore ostacolo per quanti aspirano allo status di rifugiato. Nel corso delle quattro settimane il migrante si ritrova infatti in una sorta di limbo giuridico, non può avvalersi di un aiuto legale e può essere rimandato indietro nel Paese dal quale proviene, in questo caso la Bielorussia. Lo Stato che esamina la domanda di asilo ha invece fino a 16 settimane di tempo per fornire una risposta. Bruxelles chiede anche la creazione di centri nei pressi delle frontiere all’interno dei quali detenere i richiedenti asilo ai quali dovranno essere garantiti «cibo, acqua, vestiti, un’adeguata assistenza medica» con particolare attenzione alle persone vulnerabili e «nel pieno rispetto delle dignità umana». Sembra di capire che comunque ai migranti non sarà permesso uscire liberamente dai centri prima di aver ricevuto una risposta affermativa alla domanda di asilo.
Intanto dal punto di vista dei numeri la situazione alla frontiera va gradualmente alleggerendosi. Polonia, Lituania e Lettonia hanno realizzato in tutto 6.000 rimpatri, mentre 1.872 iracheni sono tornati nella loro patria dalla Bielorussia. Altri voli per l’Iraq sono previsti nei prossimi giorni. A preoccupare sono le condizioni - sempre drammatiche - dei circa duemila profughi che si trovano ancora in territorio bielorusso, condizioni rese ancora più dure dal divieto prorogato fino al 1 marzo prossimo dalle autorità polacche alle ong di avvicinarsi al confine. Dal canto suo la Lituania ha invece chiesto al parlamento di approvare lo stato di emergenza ai confini con la Polonia a partire dal 10 dicembre.
Per i prossimi giorni, infine, sono attese nuove sanzioni contro Minsk sia da parte dell’Unione europea che degli Stati uniti.

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