COMMENTO

La «sindrome Marchionne» del governo

Transizione ecologica
VINCENZO COMITOITALIA

Sergio Marchionne raccontò a lungo che l’auto elettrica non funzionava, che non era poi tanto verde, che c’erano problemi tecnologici e così via.
E, dimostrandosi conseguente, non investì nella nuova tecnologia, mettendo in prospettiva ancora più di prima nei guai il gruppo poi salvato con l’acquisto del tutto da parte dei francesi.
Sembra che ora la sindrome Marchionne stia contagiando molti. Da qualche tempo si chiede in effetti da più parti di rallentare, frenare, ridimensionare sul fronte delle energie rinnovabili. Apprendiamo così in questi giorni che il governo italiano si oppone incredibilmente alla decisione della Ue che ha fissato al 2035 la fine della produzione dei veicoli a energia fossile, mentre si sentono dei rumoreggiamenti sullo stesso e su analoghi temi dalla parte della Confindustria; è di questi giorni in effetti l’organizzazione di un convegno critico sull’argomento cui partecipano anche i sindacati, anch’essi molto preoccupati. Mentre la Confindustria pensa ai soldi, i sindacati sono giustamente agitati per il rischio della perdita di molti posti di lavoro, come del resto ha mostrato “in anteprima”, nei mesi scorsi, la crisi di alcune imprese della componentistica.
SI INTRAVEDONO minacce non solo in quest’ultimo comparto, ma anche in quelli delle fabbriche dell’auto, settore già da noi pericolante, delle officine di riparazioni e poi dei trasporti carburante e così via. Per quanto riguarda poi l’energia si teme per l’occupazione nelle raffinerie, nelle centrali tradizionali, di nuovo nei trasporti. Il timore è accentuato dal fatto che nei comparti quali l’eolico, il solare, le batterie, la nostra industria praticamente non esiste e le tecnologie vengono tutte dall’estero. Lungimiranza pubblica e privata.
INTANTO, SU DI UN ALTRO fronte, sembra che il Governo non badi molto a quello che fanno le sue aziende controllate, lasciando che esse decidano come gli pare anche su temi vitali quale quello della riconversione energetica.
Guardiamo in effetti alle strategie comparate di Enel ed Eni in tale campo.
L’Enel è un’impresa all’avanguardia a livello internazionale in tema di energie pulite; la società lavora in tal senso da tempo e ha presentato nei giorni scorsi il nuovo piano industriale 2022-2030 nel quale si impegna a raggiungere il traguardo di zero emissioni nette entro il 2040, con l’addio al carbone nel 2027 ed al gas nel 2040. Dei 170 miliardi di euro di investimenti previsti, 70 sono dedicati alle rinnovabili ed altri 70 al rinnovamento, anche conseguente, della rete. L’ad della società, Francesco Starace, non ha mancato di sottolineare come con lo stesso piano verrà triplicata la capacità dell’impresa sempre nel settore delle rinnovabili, capacità che sarà la più grande al mondo tra le aziende private, mentre ha dichiarato che il gas continuerà a dare sorprese negative.
TUTTA UN’ALTRA MUSICA se guardiamo all’Eni. Qualche recente episodio mostra dei lati non entusiasmanti.
È di pochi giorni fa la notizia che un progetto dell’Eni per la cattura e lo stoccaggio della CO2 non avrà il sostegno finanziario del fondo europeo per l’innovazione. Con questa tecnologia il gruppo si ripromette di stoccare nei giacimenti di gas dismessi sul fondale marino nei pressi di Ravenna 50 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pareggiando così il fatto che avrebbe continuato a emettere anidride carbonica con i suoi progetti tradizionali, sostenendo alla fine di essere carbon neutral; non fornendo così alcun segno di voler recedere dalle attività nelle energie fossili, come sottolinea un articolo apparso su Domani del 27 novembre. Un comportamento ben diverso ad esempio da quello della danese Dong-Orsted, diventata un campione al 100% delle energie rinnovabili. Al contrario di quanto sostiene l’Enel, secondo le dichiarazioni dell’ad di Eni ci sarà sempre più bisogno di gas in Italia e nel mondo. E, coerentemente, sempre a Ravenna, la società ha appena inaugurato un grande impianto per lo stoccaggio del gas liquido.
Che fare? Intanto pensiamo che sul fronte delle nuove energie sia necessario accelerare, non rallentare, strategia quest’ultima suicida nel lungo termine in un campo in grande sviluppo; e questo sia per la salvezza del pianeta che per le prospettive dell’occupazione.
QUELLO CHE MANCA nel settore dell’automotive e dell’energia è una presenza adeguata del governo, che solo potrebbe sbrogliare il problema del contemperamento dell’innovazione e quello dell’occupazione, con un piano di intervento massiccio, imponendo anche, tra l’altro, all’Eni di smetterla di scherzare. Senza tale presenza l’Italia non governerà il problema né dell’auto né dell’energia.
Ma forse è da disperati sperare che Draghi e Giorgetti facciano la cosa giusta ed intervengano con efficacia. Per la verità qualche mese fa il viceministro dell’economia, Gilberto Pichetto Fratin, aveva annunciato un modesto piano di riconversione per l’automotive, ma nel frattempo non sembra essere successo niente.

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