ECONOMIA

Uno sciopero imbavagliato dai telegiornali

Televisione
VINCENZO VITAITALIA

Bene ha fatto Norma Rangeri a sottolineare nell’editoriale di mercoledì scorso il valore dello sciopero generale promosso da Cgil e Uil (Cisl non pervenuta). Si tratta, infatti, della prima vera rottura dell’involucro omologante che avvolge il governo presieduto da Mario Draghi. Opposizione di maniera di Fratelli d’Italia a parte.
Non si ricorda a memoria una simile soggezione, con poche eccezioni, dei media nei riguardi del potere esecutivo. Come se, rispetto alle scelte di palazzo Chigi, si possa essere solo osservatori estasiati: come di un film di Stanley Kubrick o di Luchino Visconti, per dire.
Tuttavia, il troppo è proprio troppo. La giornata televisiva dell’8 dicembre, quella utile per riprendere e commentare la notizia, è da condannare al girone dell’inferno dove è punita la cattiva comunicazione.
Intanto, complici le principali testate della carta stampata, proclamare uno sciopero pare un atto sovversivo o, quanto meno, eccentrico. Un sacrosanto diritto viene relegato a faccenda di estremisti o disturbatori. Il coro di giudizi politici, a partire da chi si accompagna con simpatie agli schiamazzi dei No Vax, è segnato da espressioni di preoccupazione o di irata contrarietà. Un segno sgradevole di un tempo altrettanto sgradevole.
Tuttavia, se si prendono in esame le edizioni dei telegiornali, emergono due dati incontrovertibili: il debole o persino nullo riferimento allo sciopero nelle edizioni meridiane, con un modesto recupero nelle versioni serali.
Si salva un pò Rainews, che ha dedicato alla vicenda uno spazio discreto. Si staglia il Tg2, ma per la collocazione della testata all’opposizione del governo e – dunque- per la non innocente sensibilità a ciò che va contro l’esecutivo. E lì tutte le vacche sono nere. Che si parli di vaccini o di potere d’acquisto o delle tasse o delle pensioni. Infatti, proprio il Tg2 sembra un’eccezione nella striscia dell’ora di pranzo, dove - invece – brillano negativamente il Tg1 e in grande misura il Tg3. Ben poco il resto del mondo, se si esclude una certa cura del Tg5.
Qualcosa si muove ad ora di cena, con un parziale risveglio dopo un lungo sonno nella festa comandata.
Il Tg1 non inserisce la questione nei titoli e ne parla solo dopo 10 minuti dall’inizio. Il Tg2 ne fa, invece, il secondo titolo. Naturalmente, con interviste a Boccia del Partito democratico, a Cecilia Guerra di Articolo1, a Raffaella Paita di Italia Viva. Sul piedistallo si erge, però, Matteo Salvini, che ha modo di criticare a volontà lo sciopero. Il Tg3 non ha niente nei titoli.
Per i motivi politici accennati, i canali privati sono meglio agguerriti. Il Tg4 titola, il Tg5 pure (nell’edizione della notte ha l’apertura), così come La7. Tace Studio Aperto, ma di poco ormai si occupa.
Come si vede, un argomento di prima grandezza, che tocca vite e corpi in carne e ossa e rappresenta un inizio di conflitto sociale portato al livello nazionale, oltre le lotte esemplari in corso, è relegato nelle varie. Ovviamente, se l’apertura andava dedicata alla scarcerazione di Patrick Zaki, la scelta coraggiosa delle organizzazioni sindacali meritava un’attenzione diversa.
Non è un caso, purtroppo. Se si leggono le tabelle fornite dall’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, si capisce quanto gli argomenti di valore sociale vengono dopo, mai prima. Le culture mediali prevalenti amano il populismo, non ciò che è popolare.
La Rai è regolata da un contratto di servizio e a tale testo (a cominciare dall’articolo 2 sui principi) l’azienda dovrebbe attenersi.
Ci si può augurare che la commissione parlamentare di vigilanza, troppo spesso attenta a storie minori, voglia ribadire con uno specifico indirizzo il senso profondo della Rai e quanto giustifica il canone di abbonamento che riceve.

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